PHOTO
DON VINCENZO RUSSO CAPPELLANO DEL CARCERE
Oggi c’è un grido, che si leva dalle nostre carceri. Seppure spesso soffocato, esso è più volte in grado di oltrepassare quella alte mura di separazione, confine arbitrario tra buoni e cattivi, e raggiungere i pensieri e le coscienze che si muovono nella libera società. In quel grido vive lo stesso spirito che ritroviamo nelle parole bibliche che descrivono il dolore e l’angoscia del povero; queste non ricadono sulla terra inascoltate, ma salgono fino a Dio dove trovano accoglimento ed intervento: “Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce” ( Sal 34,7)”.
Come è noto, il povero delle pagine bibliche non è solamente chi non ha di che vivere, ma è, in generale, colui che vive una condizione di sofferenza, di oppressione, di ingiustizia, di solitudine estrema rispetto a tutto ciò che ne può sostenere la libera e dignitosa esistenza. Ebbene, non c’è motivo per cui questo grido non sia anche quello del detenuto che, per la situazione in cui si trova a vivere, esprime dolore per una dignità oltraggiata, una sofferenza inflitta oltre ogni previsione di giustizia e umanità.
Il mio pensiero corre spesso, quasi incredulo, al silenzio che, pure, questo grido incontra nel suo viaggio fino a noi. Un silenzio che è sempre assordante, ancor più quando, come rilevo, appartiene a coloro che sono chiamati, invece, ad accogliere quel grido e contribuire a trasformarlo in fiducioso cambiamento.
Penso alla figura del Presidente del Garante Nazionale delle persone private della libertà, al quale mi rivolgo, con umile azzardo, per comprendere meglio come possa accadere che, mentre si consuma il dramma di vite sottoposte a condizioni disumane e angoscianti oltre ogni limite, si possa rimanere fermi, in silenzio, senza offrire risposte vere. Il dottor Turrini Vita, Presidente del Garante, ha accolto, con la sua nomina, una responsabilità enorme e un alto compito: quello, in un certo senso, di essere “profezia” per quanto riguarda la vita delle persone detenute. Il Profeta, nella Sacra Scrittura, è definito non solo come colui che parla a nome di Dio ma, nella sua relazione con il popolo, come colui che vigila, che custodisce.
È la sentinella (shomèr), il custode del fratello, colui che vede e conosce la verità e la giustizia di Dio e la indica al popolo, perché la segua. Come può, mi chiedo e chiedo a Lei, Presidente del Garante Nazionale, conciliarsi questa alta missione, con il silenzio devastante a cui oggi assistiamo di fronte alla tragedia che si consuma dentro le nostre carceri, fatta di disumanità, di diritti violati, di dettami costituzionali ignorati e di numerosi suicidi? Dov’é, in questa inazione e in questo perpetuarsi dello stato di fatto attuale, l’esercizio della profezia? Dove l’esercizio della garanzia?
Tutti conosciamo la difficile condizione in cui versa il sistema penitenziario nel suo complesso e abbiamo consapevolezza della enormità dei problemi da affrontare. Nessuno, credo, si attende la bacchetta magica che risolve ogni cosa in un attimo, ma tutti, me compreso, ci attendiamo da subito e sempre, giustizia, equità, verità, umanità: in una parola, profezia. Queste parole, caro Presidente, giungono a Lei sapendo di essere comprese, perché ricevute da una persona che conosce e vive personalmente la dimensione della fede cristiana. A maggior ragione, si traducono in sconcerto quanto più si scontrano con l’immobilismo ed il silenzio a cui ora assistiamo.
Ogni giorno che passa e racconta situazioni, dentro le nostre carceri, indegne per un Paese civile quale si ritiene il nostro, è un giorno in cui la profezia è morta e il Vangelo rinnegato.
Di fronte a questo, di fronte a ogni singolo “povero” stritolato dalle maglie del sistema freddo ed indifferente, c’è tutto il contrario di quell’orizzonte che le secolari battaglie per la libertà, la democrazia, i diritti umani ed il primato della libera coscienza hanno cercato di consegnare ai nostri tempi.
Ecco perché il silenzio dinanzi al presente, è qualcosa per me incomprensibile. Lo è quello della maggioranza dei cappellani delle carceri e particolarmente del loro Ispettore Generale: ogni giorno assistono a questo dramma eppure non sembrano manifestare l’atteso sdegno né farsi voce accorata di denuncia. Lo è quello di chi, come Lei, Presidente Turrini, è chiamato a essere Garante di diritti e profezia, in nome di quella vera giustizia alla quale diciamo di voler tendere. Ecco, questi silenzi non li comprendo e non li giustifico. Ci sono forse ragioni che non conosco? Non penso sia così. Penso e spero solo che questo muro infrangibile, che schiaccia vittime ogni giorno e gronda sangue umano, crolli sotto l’esigenza dell’umanità e di quell’imperativo divino di amore e giustizia che, Presidente, Lei afferma di ritenere fondamento del suo vivere e credere. Di fronte a un problema, si agisce e lo si fa insieme: tanti altri “profeti” oggi vengono meno al loro compito, nella società civile e nella Chiesa. Se davvero il sistema penitenziario vuole percorrere, come dice, una via di riforme e cambiamenti sostanziali, quale orizzonte di intervento intende scegliere, quali obiettivi raggiungere, valori attuare, priorità seguire? Rompendo l’assurdo e drammatico silenzio, qualcuno, per favore, risponda… non a me, ma alle persone detenute, che attendono, finalmente, che il loro “grido” sia concretamente accolto.