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La sentenza arriva secca, l’ennesima: l’Italia condannata per trattamento disumano e degradante. La Prima Sezione della Corte europea dei diritti dell'uomo ha accertato che il nostro Paese ha violato l'articolo 3 della Convenzione nei confronti di Teodoro Crea, detenuto presso la casa di reclusione di Opera dal marzo 2016, e difeso dall’avvocato Pasquale Loiacono. Parliamo di un uomo nato nel 1939, costretto in sedia a rotelle da ventiquattro anni per le conseguenze di una ferita d'arma da fuoco, che ha trascorso oltre un decennio di detenzione senza ricevere in modo costante quella fisioterapia che ogni singolo perito nominato dalle autorità giudiziarie aveva indicato come necessaria.
Non è una storia di incompatibilità assoluta con il carcere. È la storia di un trattamento terapeutico promesso e mai garantito, di cicli di riabilitazione iniziati e poi abbandonati, di prescrizioni mediche rimaste sulla carta mentre un uomo cadeva diciassette volte in sette anni secondo quanto documentato nel suo dossier sanitario. La vicenda inizia il 23 maggio 2014 con l'ordinanza di custodia cautelare del giudice di Reggio Calabria. Teodoro Crea viene rinchiuso nel penitenziario di Parma. L'emiplegia del lato sinistro del corpo, causata nel 2001 da un colpo d'arma da fuoco, lo ha reso dipendente dalla sedia a rotelle per ogni gesto della vita quotidiana. Sei procedimenti penali porteranno a condanne definitive per 27 anni, 4 mesi e 17 giorni per associazione di tipo mafioso.
L' 11 agosto 2014 un perito nominato dal giudice stila un rapporto chiaro: lo stato di salute di Crea è compatibile con la detenzione a tre condizioni. Assistenza quotidiana del personale sanitario. Trattamento costante da un fisioterapista. Terapia farmacologica adeguata. Quattro mesi dopo, nessuna delle tre misure è stata attuata dall'amministrazione penitenziaria. Il 23 dicembre 2014 il medico di Parma firma un rapporto allarmato: Crea è caduto più volte dalla sedia a rotelle, non può essere detenuto in quella prigione per le barriere architettoniche. Il 4 novembre 2015 il tribunale di Palmi ordina il trasferimento immediato. Il 16 marzo 2016 Crea arriva a Opera, in una cella per disabili nel servizio di assistenza intensiva. Ed è a Opera che la storia prende una piega paradossale. Il dossier medico registra un primo ciclo di fisioterapia nel novembre 2014 a Parma, interrotto per le difficoltà di movimento. Nel 2015 e 2016 seguono due cicli di sedute bisettimanali. Un nuovo ciclo tra maggio e giugno 2017. Nel 2018 un ciclo da gennaio a febbraio, poi ad aprile i medici prescrivono urgentemente un altro ciclo che parte in ottobre ma si ferma per l'aggravamento della patologia polmonare. L'ultimo ciclo va dal 14 al 25 gennaio 2019. Poi più nulla. Un rapporto del 30 agosto 2023 parla di “diversi cicli interrotti dalla pandemia Covid- 19” e riferisce che Crea è “in attesa di un medico rieducatore per un nuovo ciclo”. In attesa dopo quattro anni dall'ultima seduta.
Nel frattempo le perizie si susseguono. Il 24 settembre 2020 la Corte d'appello nomina due periti che concludono: lo stato di salute è compatibile con la detenzione se c'è assistenza costante e un percorso di fisioterapia. Aggiungono una frase pesante: se è impossibile garantire questi trattamenti in carcere, la migliore alternativa è trasferirlo in una struttura di cure con servizi di assistenza e rieducazione. È il 2020. L'ultimo ciclo di fisioterapia risale a diciannove mesi prima.
Tra il 2015 e il 2022 i medici riferiscono di circa diciassette cadute. Crea tenta di spostarsi da solo, di raggiungere il bagno in modo autonomo. Cade. Ogni volta il personale gli ricorda che un assistente è disponibile. La Corte di Cassazione, nell'ultima sentenza del 14 marzo 2023, scrive che le cadute sono ‘”legate alla volontà del richiedente di spostarsi in modo autonomo”. Come se voler andare in bagno senza chiedere aiuto fosse una colpa invece che un bisogno di conservare un minimo di dignità.
Dal 2015 al 2023 Crea chiede ripetutamente la sostituzione del carcere con gli arresti domiciliari. Tutte le richieste respinte. I giudici italiani si riferiscono alle perizie che parlano di assistenza medica sufficiente. Ma di quale trattamento si parla, se la fisioterapia prescritta da tutti i periti non viene più somministrata?
Il 7 febbraio 2022 Crea, assistito dall'avvocato Pasquale Loiacono del foro di Palmi, chiede alla Corte europea una misura provvisoria. Vuole che Strasburgo ordini all'Italia di metterlo in condizioni di ricevere le cure necessarie. Il 10 febbraio la richiesta viene respinta. Il 28 maggio deposita il ricorso e arriva la sentenza. I giudici Frédéric Krenc, Raffaele Sabato e Alain Chablais osservano che nessun perito ha mai detto che Crea non potesse essere detenuto. Quindi il mantenimento in carcere non è incompatibile in sé con l'articolo 3. Ma - ed è un “ma” decisivo - Crea soffre di una patologia invalidante che richiede fisioterapia regolare. La Corte deve verificare se lo Stato ha protetto la sua integrità fisica somministrando cure appropriate. E qui emerge il problema. “Gli elementi del dossier dimostrano che i medici periti non hanno smesso di affermare che la partecipazione a cicli regolari di fisioterapia era necessaria per alleggerire la sofferenza del richiedente”, scrive la Corte. È stato anche sottolineato che in caso di impossibilità di fornire questi trattamenti in carcere, Crea avrebbe dovuto essere trasferito in una struttura adeguata.
Il governo italiano, rappresentato dall'avvocato dello Stato D'Ascia, sostiene che Crea ha beneficiato di un percorso medico adeguato e che ha avuto accesso alla fisioterapia fino alla pandemia. Fornisce rapporti sanitari sulle altre patologie. Ma la Corte nota un'assenza decisiva: il governo “non fornisce alcun documento che dimostri che il richiedente avrebbe avuto accesso alle cure fisioterapiche in maniera costante fino alla pandemia di Covid-19, né che avrebbe avuto l'occasione di riprendere tali cure, almeno fino al 12 febbraio 2024”. Quasi un anno prima della sentenza, cinque anni dopo l'ultimo ciclo documentato. La Corte osserva che dopo il trasferimento a Opera Crea ha ricevuto cicli puntuali di fisioterapia. Ma “nessun elemento indica una ripresa dei trattamenti dopo il 2019, nonostante le prescrizioni reiterate dai periti e dai medici del penitenziario”. Senza prove ulteriori, la Corte non può concludere che Crea ha beneficiato delle cure necessarie. La conclusione è netta: “Le autorità hanno fallito nel loro obbligo di assicurare al richiedente il trattamento medico adatto alla sua patologia. Il trattamento ricevuto ha ecceduto il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione ed ha rappresentato un trattamento disumano e degradante”.
Crea non ha chiesto un risarcimento. La sentenza si limita ad accertare la violazione dell'articolo 3. All'unanimità. È una condanna che si aggiunge alla lunga lista di sentenze con cui Strasburgo ha stigmatizzato le condizioni di detenzione in Italia. Ma questa volta non si parla di sovraffollamento o celle anguste. Si parla di una terapia prescritta da tutti - periti, giudici, medici del carcere - e poi tradita nella pratica quotidiana. Teodoro Crea ha 86 anni. È dietro le sbarre dal 2014, a Opera dal 2016. L'ultima fisioterapia documentata risale a gennaio 2019, sei anni e mezzo fa. Le perizie dicono che quella fisioterapia è necessaria per alleviare le sue sofferenze. La Corte europea ha stabilito che non garantirgliela equivale a un trattamento disumano e degradante. Ora tocca all'Italia decidere cosa fare di questa condanna e cosa fare per evitarne altre. Un sistema penitenziario degradante, con l’aggiunta del grave sovraffollamento. Da quest’ultima constatazione nasce la nuova campagna di Antigone, “Inumane e degradanti. Il carcere italiano è fuori dalla legalità costituzionale”, accompagnata da una petizione pubblica rivolta al Parlamento e al governo.


