Riceviamo da Gianni Alemanno e pubblichiamo nel rispetto delle norme dell’Ordinamento.

Rebibbia, 26 ottobre 2025

299° giorno di carcere

Prima di scrivere siamo andati a controllare di persona, perché questa è una storia tanto folle che non sembrava vera neanche a noi.E invece è tutto vero, lo abbiamo visto con i nostri occhi: Zoran e Joao Victor stanno realmente insieme nella stessa cella da una sola persona. Non solo, ma non hanno neanche il lavandino, mentre il WC (come in tutte le celle singole, dette “cubicoli”) è a vista senza nessuno schermo per difendere la privacy. Ma andiamo con ordine.

Zoran, un rom con cittadinanza italiana che si dichiara gay, molto matto e incontrollabile, arriva il 30 agosto al nostro braccio G8 per essere messo in parziale isolamento in una cella singola del secondo piano, cioè in un normale reparto di persone detenute comuni. Durante una delle sue crisi di follia, Zoran distrugge il lavandino della sua cella e tenta il suicidio tagliandosi le vene con un frammento di questo lavandino. Dopo essere stato medicato, viene lasciato comunque nella cella rimasta senza lavabo e senza sorveglianza.

Nel frattempo il 17 ottobre arriva al G8 Joao Victor, un brasiliano immigrato che si dichiara gay e per questo motivo viene recluso in una cella singola del reparto dei trans, nonostante non abbia ancora intrapreso nessun processo di trasformazione sessuale (gli altri trans dicono perché l’endocrinologo non si fa vedere da tempo…). Peccato che la cella in cui viene rinchiuso ha un piccolo problema: non ha i servizi igienici, né lavandino, né wc. Per cui Joao Victor di giorno ha chiesto asilo alle celle vicine, mentre di notte ha dovuto utilizzare il classico secchio (scusate, non è una bella storia, ma è solo la realtà…). Per quattro giorni le cose sono andate avanti così, finché l’Amministrazione, resasi conto dell’insostenibilità della situazione, ha avuto una brillante idea: trasferire Joao Victor nella stessa cella di Zoran.

Hanno montato un letto a castello e così, dove c’è posto solo per una persona (in condizioni disagiate) adesso sono rinchiusi in due. Come abbiamo detto il lavandino non è stato ancora ricostruito, mentre c’è solo un wc che, come in tutte le celle singole, non ha nessuna copertura per garantire un minimo di privacy.

E così, da cinque giorni, Zoran e Joao Victor convivono in assoluta intimità, di letto e di cesso, nello stesso “cubicolo” dove avranno circa un metro quadro di spazio ciascuno, quando i regolamenti europei impongono che ogni detenuto abbia almeno 3 mq a testa, altrimenti le condizioni di vita sono dichiarate “inumane” e vengono equiparate alla “tortura” (art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo). Questa intimità è rafforzata dal fatto che entrambi non possono andare all’aria neppure per un’ora, né con le persone detenute comuni, perché sono gay, né con gli altri detenuti transessuali perché questi stanno in un altro reparto al piano terra.

Come vogliamo catalogare questa vicenda? Come una storia di ordinaria follia da sovraffollamento, cioè la dimostrazione che a Rebibbia, dopo il blocco di Regina Coeli per il crollo del tetto, non c’è più nessuno spazio e l’amministrazione non sa dove mettere le persone che hanno qualche problema? Questo nonostante negli altri bracci anche le salette per la convivialità siano state trasformate in celle per 12 persone.

Oppure si tratta di una brillante idea per garantire il “diritto all’affettività”? Stiamo parlando del diritto ad incontri intimi con il proprio partner sancito da una sentenza del 26 gennaio 2024 della Corte Costituzionale, come avviene in quasi tutti gli altri paesi europei. Dopo più di un anno e mezzo, secondo i dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, solo 32 istituti su 189 dispongono di spazi idonei per questi rapporti intimi.

Tra questi istituti fortunati ovviamente non c’è Rebibbia. E, allora, vuoi vedere che l’Amministrazione abbia voluto rimediare per almeno 2 delle 1576 persone detenute, mettendole nella stessa cella? Peccato che si tratti di un matrimonio combinato e nessuno ha chiesto a Zordan e a Joao Victor se gradiscono questa soluzione.

Come vedete, non si sa se ridere o piangere. Ma sappiate che, a Rebibbia come in tutta Italia, siamo vicini al disastro. Nel frattempo ci auguriamo che qualcuno intervenga per riammettere Zordan e Joao Victor nell’ambito dei diritti elementari appartenenti a tutti gli esseri umani, anche se detenuti.