Tre suicidi in carcere in poche ore: è un conto atroce, che racconta un’emergenza soffocata dal sovraffollamento e dall’assenza di cure. A denunciarlo è il sindacato di Polizia penitenziaria (S.PP.), cui il segretario Aldo Di Giacomo affida numeri e volti di questo dramma: un detenuto della sezione psichiatrica di Santa Maria Capua Vetere, un altro a Sassari per sospetta overdose, un terzo a Campobasso, trovato impiccato. Tre carceri diverse, tre storie spezzate in 48 ore. Come emerge dagli aggiornamenti di Ristretti Orizzonti, salgono così a 37 i suicidi dall’inizio dell’anno, e cresce il peso di malati psichici e tossicodipendenti, categorie in gravissimo pericolo dentro le mura di tutti gli istituti penitenziari.

In Campania, denuncia Di Giacomo, le vittime sono già cinque: due a Poggioreale, una a Secondigliano, un’altra alla Rems di San Nicola Baronia e l’ultima a Santa Maria Capua Vetere. «È la prova – spiega – della sottovalutazione totale della salute mentale dei detenuti, che per un terzo soffrono di malattie psichiche e per un altro terzo di dipendenze. Nel frattempo mancano risorse, personale sanitario e agenti preparati: chi prova ad aiutare viene minacciato e se ne va». Non basta. Le celle traboccano oltre il 130 per cento della capienza regolamentare; lo Stato spende quasi 150 euro al giorno per ciascun detenuto, senza garantire cure né un sostegno psicologico. Eppure il ministro Nordio sembra alternare proposte non fattibili – ex caserme militari, celle-container – a un’incapacità di costruire nuove carceri. «Ottanta milioni per 380 posti-cella – prosegue il sindacalista – quando ogni mese entrano circa gli stessi detenuti. È uno spreco che non risolve nulla».

A queste denunce si aggiunge il richiamo delle Camere Penali, raccolto dal presidente Francesco Petrelli: «La tragedia era prevedibile, i numeri sono impietosi. Gli interventi finora ipotizzati dal governo non bastano: servono provvedimenti legislativi urgenti, deflattivi e concreti». Parole nette, che mettono in luce la distanza tra le promesse della maggioranza e i fatti sul terreno. A Campobasso, intanto, l’Ordine degli Psicologi del Molise accredita i numeri del Consiglio Nazionale: oltre 35 suicidi da inizio anno, più di 800 tentativi e migliaia di atti di autolesionismo, in un sistema che ospita 64 mila persone su 47 mila posti. «La psicologia penitenziaria è presidio indispensabile – avverte Alessandra Ruberto – non solo per curare, ma per prevenire, sostenere relazioni e promuovere percorsi di rieducazione». E poi la voce di Antigone Molise, che registra 91 suicidi nel 2024 e già decine nei primi mesi del 2025. «Un cittadino si toglie la vita alle nostre spalle – sbotta Vincenzo Boncristiano – è uno spettacolo indegno per un Paese civile. Le nuove carceri costerebbero oltre 1,3 miliardi e non risolverebbero il sovraffollamento: servono misure alternative, in linea con l’articolo 27 della Costituzione». A Napoli, infine, Samuele Ciambriello, garante campano dei detenuti, ricorda: «Morire di pena non è un destino. Morire di carcere e in carcere responsabilizza tutti noi che siamo liberi: società civile, politica, amministrazione penitenziaria, terzo settore e volontariato».

Ritornando ai numeri del sovraffollamento, basta considerare l’allarme lanciato dal garante Stefano Anastasìa, che indica amnistia e indulto come unica via per riportare le carceri alla legalità. Al 31 maggio scorso i detenuti erano 62.761: 11.437 in più rispetto alla capienza teorica e 16.016 in eccesso rispetto ai posti regolamentari effettivamente disponibili (4.579 fuori uso per ristrutturazioni o manutenzioni). Ne deriva un tasso di sovraffollamento del 134,3% – dove dovrebbero esserci cento persone, ce ne sono in media 134-135.

Un terzo in più significa non solo una convivenza resa ancora più difficile in ambienti angusti e soffocanti (soprattutto con l’afa estiva), ma anche personale e servizi inadeguati. Le piante organiche – spesso carenti, in particolare tra polizia penitenziaria e personale sanitario – sono programmate sulla capienza ufficiale, non su quella reale. Così, anche quando (come nel caso degli educatori) i posti previsti vengono coperti, manca comunque il margine necessario per un’efficace presa in carico individualizzata. E nelle piante organiche più deficitarie, come quella della polizia, uno-due agenti in turno notturno devono far fronte alle richieste di cento, centocinquanta detenuti.

Dietro le sbarre si consuma un’onda nera che racconta l’incapacità di tutelare la dignità umana. Le soluzioni esistono: completare la riforma Orlando del 2018, offrire percorsi veri di reinserimento e approvare la liberazione anticipata speciale proposta da Roberto Giachetti di Italia Viva e Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino, sostenuta anche dal presidente del Senato Ignazio La Russa. La soluzione è applicare l’articolo 27 della Costituzione. Meno carcere, più misure alternative, percorsi di recupero seri. Mentre il guardasigilli naviga a vista, le vite continuano a spegnersi. L’ultima, un sessantenne senza nome, ha scelto l’impiccagione a Campobasso. Per lui nessun “piano container”, solo un lenzuolo.