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Il carcere di Regina Coeli a Roma
Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Fabio Falbo, detenuto nel carcere di Rebibbia
In Italia, sulla carta, ogni persona detenuta dovrebbe avere diritto a 9 metri quadrati di spazio vitale. È un numero che sembra ragionevole, quasi rassicurante. Ma come spesso accade, tra la norma e la realtà si apre un abisso. E in quel vuoto, fatto di cemento, letti a castello e finestre sbarrate, vivono circa 63.000 persone. La misura della dignità è stabilita dal ministero della Giustizia come la capienza regolamentare delle carceri italiane che si basa su un criterio semplice: 9 metri quadrati per la prima persona detenuta in cella sin gola, e se allocata nella cella multipla il calcolo è 5 metri quadrati per ogni persona detenuta aggiuntiva. Questo standard, in linea con le raccomandazioni europee, dovrebbe garantire condizioni di vita dignitose. Ma c'è un problema, nessuno sa davvero quanti metri quadrati siano effettivamente disponibili nelle carceri italiane. Non esiste, ad oggi, un dato pubblico ufficiale che indichi la superficie fisica complessiva degli istituti penitenziari, per lo più delle celle di tutti i 190 istituti di pena. Si conosce la capienza massi ma regolamentare dei posti ( circa 51.300), ma non lo spazio reale e che comunque non va intesa come capienza massima tollerabile che è tutt'altra cosa. Una lacuna grave, soprattutto in un sistema che si fonda - almeno formalmente - sul principio della rieducazione, visto i numeri che non tornano.
Facciamo due conti, se volessimo rispettare gli standard minimi per le circa 63.000 persone detenute, servirebbero oltre I milione di metri quadrati. Ma le stime più ottimistiche parlano di circa 359.000 metri quadrati realmente disponibili. Il risultato? Celle sovraffollate, spazi comuni ridotti all'osso, e una quotidianità che spesso rasenta la disumanità. Il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura ha più volte richiamato l'Italia, chiedendo che ogni persona detenuta abbia almeno 4 metri quadrati netti in celle condivise. Ma in molte strutture, soprattutto nel Sud, questa soglia è un miraggio, è come un carcere che non si vede. Il problema non è solo numerico, è culturale, in Italia, il carcere resta un mondo opaco, lontano dagli occhi dell'opinione pubblica, eppure, è un pezzo di società. Dentro ci sono persone che un giorno torneranno fuori. E il modo in cui vivono oggi influenzerà il modo in cui vivranno domani. Ci sono storie come quella di Fabio Falbo, laureato in Giurisprudenza, attivo in progetti culturali e legali che si sta occupando anche di questi dati capziosi, che mostrano il divario tra teoria e realtà, come anche quelle storie di abbandono, di disagio psichico, di suicidi. Solo nel 2024, sono stati oltre 80 le persone detenute morti in carcere, molti per cause evitabili. Purtroppo nella terra della legalità carceraria la trasparenza manca. È lecito chiedersi: perché il ministero non pubblica i dati sulla superficie reale delle celle carcere? Perché non esiste una mappa aggiornata degli spazi, delle celle, delle condizioni igieniche? In un'epoca in cui tutto è tracciabile, il carcere resta un'eccezione, eppure, la trasparenza è un diritto, non solo per le persone detenute, ma per tutti i cittadini, visto che il carcere è un luogo pubblico, finanziato con soldi pubblici, e regolato da leggi che parlano di dignità, diritti e reinserimento. Come si vogliono far rispettare le leggi se proprio chi vigila negli istituti di pena li rispetta?
A supporto di questa affermazione vi è stata una richiesta di Fabio Falbo ' Lo Scrivano di Rebibbia' sia al Magistrato di Sorveglianza di Roma e successivamente al Tribunale di Sorveglianza di Roma in sede di reclamo e di appello dello stesso per effettuare una perizia di parte o di ufficio per misurare lo spazio calpestabile delle celie multiple e singole di Rebibbia visto i dati riportati e capziosi sottoscritti da chi non ha le competenze a farle non essendo iscritti in nessun albo. Ebbene oltre ai rigetti e alle spese la richiesta non è stata accolta, è come dire comando io le tue sono solo parole e visto che gli stessi vigilano negli istituti di pena non potranno mai affermare che le struttur e sono non solo sovraffollate ma non rispettano quei minimi criteri riportati in un qualsiasi ordinamento penitenziario che si rispetti. Voi lettori vi domanderete ma il Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio (Stefano Anastasia), quello Comunale di Roma Capitale (Valentina Calderone) e non per ultimo l'associazione Antigone (avvocato Dario Di Cecca) sono a conoscenza di tutto ciò? Ebbene sì ma ad oggi e dopo tutte le varie richieste e solleciti si aspetta da anni un loro intervento quantomeno per vedere con gli occhi e non con il metro la capienza effettiva e quindi sottoscrivere un documento in difesa di chi è lasciato a morire e perire senza difesa alcuna. È vero che la speranza è l'ultima a morire e sono certo che questi Garanti o l'Associazione in questione se hanno il piacere di leggere e magari intervenire, i numeri del e presenze in carcere possono scendere non di tanto ma neanche di poco. Questi diritti calpestati non sono solo quelli di Fabio Falbo ma rispecchiano i diritti calpestati di tutte quelle persone detenute in tutte le 190 strutture penitenziarie visti i dati ministeriali che indicano un sovraffollamento dal 133% a oltre il 200%. Quindi questi immaginari 9 metri quadrati da dove saltano fuori