Da una parte c’è esultanza per l’assegnazione dei 700 milioni di euro al piano carceri, qualche osservatore guarda con attenzione neutra ai tempi previsti per i cantieri, ma non mancano gli interventi argomentati che mettono nel mirino scelte e omissioni del governo.

Il punto di partenza è noto: con quasi 16.000 detenuti in più rispetto ai posti disponibili, il sistema penitenziario italiano vive da anni in condizione di emergenza sovraffollamento. Il piano approvato dal Consiglio dei ministri promette meno di 10.000 nuovi posti entro il 2027, a fronte di un investimento superiore ai 700 milioni di euro. Un’impresa che, anche se cantierata senza ritardi, non basterebbe a riportare l’universo carcerio a dimensioni sostenibili.

«Non c’è nulla di immediata applicazione, nessuna misura deflattiva mirata al sovraffollamento», denuncia Samuele Ciambriello, Garante campano e portavoce della Conferenza nazionale dei Garanti territoriali. Ciambriello sottolinea che i nuovi disegni di legge non soltanto non risolvono il problema, ma si scontrano con il Decreto Carceri del 7 agosto 2024, che ha inasprito le condizioni per la liberazione anticipata. Il risultato? Lo Stato ignora il dettato costituzionale e l’emergenza resta congelata.

L’appello di Ciambriello tocca più punti. Primo: i 10mila detenuti con meno di un anno di pena residua vengono ancora rimandati alla discrezionalità dei magistrati, senza automatismi di scarcerazione.

Secondo: sul fronte edilizio si annunciano nuove carceri e moduli prefabbricati, ma si ignora del tutto il sotto organico di agenti di polizia penitenziaria, psicologi, psichiatri ed educatori.

Terzo: il trasferimento in comunità terapeutiche per tossicodipendenti – previsto già lo scorso agosto – è rimasto sulla carta per mancanza di fondi e atti esecutivi. «Il governo cala il silenziatore e prosegue nella deriva panpenalista», conclude Ciambriello, esortando la politica a non negare il carcere ma a fermare «la strage di vite e di diritti» dietro le sbarre.

Anche Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, contesta la dipendenza esclusiva dalle soluzioni edilizie. Negli ultimi tre anni i detenuti sono aumentati di 5.000 unità e, mantenendo lo stesso ritmo, nel 2027 mancheranno altri 10.000 posti. Per recuperarne una parte, il governo propone la vendita di strutture storiche – “valorizzazione” per Roma, elegante eufemismo per “speculazione” – e l’uso di container come alloggi, soluzioni adatte a emergenze temporanee, non a chi vi resterà a lungo.

Gonnella riprende un’osservazione già avanzata da Ciambriello: non è prevista alcuna misura per potenziare le risorse umane necessarie al funzionamento delle nuove strutture. Mancano direttori, educatori, medici, mediatori culturali e personale amministrativo. Senza queste figure, ogni nuovo blocco carcere rischia di restare un guscio vuoto: detenuti con pochissimi agenti di custodia, uno psicologo disposto ad ascoltarli, un educatore che li aiuti nel reinserimento. Il piano contempla poi altri posti grazie alla detenzione differenziata per tossicodipendenti e alcolisti, ma non introduce automatismi e lascia troppa discrezionalità ai giudici. Un’opportunità che andrebbe accompagnata da regole chiare e garanzie contro la privatizzazione del servizio sociale. In sintesi, per associazioni come Antigone il piano carceri conferma un’ambizione limitata e una visione datata: si interviene sull’involucro, non sul contenuto di un sistema che reclama misure deflattive, assistenza psicologica, formazione professionale e concrete prospettive di reinserimento.

Delusione espressa anche da Nessuno Tocchi Caino, che con Rita Bernardini sperava almeno alla liberazione anticipata speciale. Grande preoccupazione arriva da Irene Testa, tesoriera del Partito Radicale e Garante della Sardegna: oltre a denunciare l’inerzia del ministro Nordio e il disinteresse verso le indicazioni del Presidente Mattarella, mette in guardia sul fatto che oltre ai 92 detenuti destinati al 41 bis di Uta, aggiunge il timore che potrebbero essere aggiunti i famigerati moduli container. Un dramma nel dramma.