«In un processo, quello che non è provato non esiste. La procura generale ha perso l’ennesima occasione per dimostrare le prove, perché anche nel corso delle repliche non ha detto nulla sulla “minaccia al corpo politico dello Stato”, il capo di imputazione». Sono le parole dell’avvocato Basilio Milio, difensore del generale Mario Mori, durante la controreplica finale al processo d’appello trattativa Stato-mafia. La difesa si è ritrovata costretta a ribadire concetti, con riferimenti documentali, che il sostituto procuratore generale ha riaffrontato durante la sua replica dei giorni scorsi. Dalla questione del dossier mafia-appalti, come causa dell’accelerazione della strage di Via D’Amelio, alla collaborazione del pentito Pietro Riggio che nulla a che vedere con gli ex Ros imputati visto che non erano più ai reparti speciali all’epoca dei presunti fatti, alla questione del telefonino sequestrato a Giovanni Napoli (il favoreggiatore della latitanza di Provenzano) e poi restituito dopo aver estratto i dati. Anche l’avvocato Francesco Romito, difensore dell’ex Ros Giuseppe De Donno, ha dovuto controreplicare affrontando la questione Riggio. In particolare il fatto che da infiltrato in Cosa Nostra, secondo il legale era giusto l’arresto dopo che i Ros nisseni (ricordiamo che non c’entrano con gli imputati) hanno scoperto che commetteva dei reati. La figura dell’infiltrato – istituto regolato giuridicamente – non permette di compiere crimini, ma essere solo osservatori. D’altronde, nel nostro Paese, non è contemplato giuridicamente nemmeno l’agente provocatore. Nelle controrepliche è intervenuto anche l’avvocato Francesco Centonze, legale dell’ex senatore Marcello Dell’Utri. «La Pg – ha detto l’avvocato - ci ha intrattenuto su una analisi direi sociologica, casistica e aneddotica sul messaggio mafioso, ma non ha citato fatti relativi a questo processo o documenti relativi a questo processo, o testimonianze relative a questo processo». I giudici della Corte di Assise di appello sono entrati in camera di consiglio. Passeranno alcuni giorni prima di conoscere il verdetto. Il collegio presieduto da Angelo Pellino con a latere Vittorio Anania, non si allontanerà dal bunker del carcere Pagliarelli. Prima di entrare in camera di consiglio, il presidente Pellino ha annunciato che uno dei giudici popolari si è ritirato per motivi di salute ed è stato sostituito.