Quante sono, e come stanno le donne in carcere? Secondo gli ultimi dati del Dap aggiornati al 31 gennaio 2025, le donne recluse sono 2.718 su 61.916 detenuti, di cui 11 madri e 12 bambini. Una “minoranza penitenziaria”, isolata e sparpagliata sul territorio nazionale. In Italia, infatti, al momento ci sono soltanto tre penitenziari femminili: Trani, Roma e Venezia Giudecca, che ospitano circa un quarto delle detenute. Tutte le altre si trovano nelle sezioni degli istituti maschili. Con quali conseguenze? Ne abbiamo parlato con la senatrice di Fratelli d’Italia Susanna Donatella Campione.

Il primo nodo riguarda la mancanza di una normativa specifica sulla detenzione femminile: l’ultima legge risale al 2015, la legge Gonnella. Bisognerebbe orientare l’amministrazione penitenziaria a una politica di genere?

La situazione nelle carceri è molto critica da tempo. Ereditiamo problemi che derivano da molti anni di noncuranza. Sicuramente gli istituti di pena vanno ripensati e riorganizzati e in questa ristrutturazione occorre disciplinare in modo specifico la detenzione femminile. Si tratta di tenere conto delle differenze. Negare la diversità tra detenuti uomini e detenute donne non aiuta ma acuisce le criticità. Le donne evadono meno e molto raramente commettono atti di violenza, hanno inoltre necessità specifiche che un sistema incentrato sul rispetto dei diritti della persona, anche quando reclusa, non può ignorare.

Anche l’architettura penitenziaria è pensata a misura di uomo. La politica dovrebbe e potrebbe occuparsene?

Certamente la politica ha il dovere di proporre soluzioni per adattare gli istituti di pena ai detenuti e alle detenute anche dal punto di vista dell’architettura stessa del carcere, che è fondamentale per il percorso riabilitativo e che deve essere intesa come scienza dell’organizzazione razionale degli spazi della detenzione. Sappiamo ad esempio che la riduzione della distanza oltre certi limiti produce forti situazioni di stress, soprattutto nei penitenziari dove si trovano insieme individui di età e cultura diverse e molte rivolte nelle carceri sono causate proprio dal sovraffollamento. Le norme possono svolgere una funzione importante in questo senso. Le European Prison Rules del Consiglio d’Europa prescrivono un’attenzione particolare alle esigenze fisiche e psicologiche di chi si trova in un penitenziario che dovranno essere recepite nel nostro ordinamento.

Quando si parla di donne in carcere si parla spesso di madri detenute, al grido di “mai più bimbi dietro le sbarre”. Ma il ddl Sicurezza, in discussione al Senato, elimina il differimento obbligatorio della pena per le donne incinte e le madri con figli di età inferiore a un anno.

Non bisogna cadere nell’errore di identificare la donna con la madre detenuta, si farebbe un torto alle donne ristrette in carcere che non sono madri. Il ddl sicurezza affida al magistrato la valutazione sul differimento della pena per le donne in gravidanza e con figli di età inferiore a un anno. Sul tema c’è stata ampia discussione e in seguito al lavoro svolto in commissione si stanno facendo riflessioni sul punto per arrivare a contemperare il problema dello sfruttamento dello stato di gravidanza per commettere reati con l’esigenza di tutelare i minori. L’auspicio è che il confronto parlamentare, che a ciò è deputato, possa contribuire a comporre la questione.