Una donna, una guerriera, fisico statuario, viso allungato ed ex appartenente a Gladio. Così viene descritta da taluni pentiti. Che poi sono sempre i soliti smentiti nel tempo. Lirio Abbate, nel suo libro appena uscito dal titolo “Faccia da mostro”, scrive che il ruolo del giornalista è indagare, cercare collegamenti, scovare fonti. E ha ragione. Appena ha scritto nome e cognome di questa donna “misteriosa”, Il Dubbio ha cercato fonti per capire chi fosse. Ed ecco che scopriamo che Virginia Gargano, così si chiama, non corrisponde a quella descrizione fisica. È di bassa statura, non sembra assolutamente avere un viso allungato e non fa parte della Gladio, ma ha avuto la “disgrazia” di essere stata compagna di un ex “gladiatore”.

Il profilo sembrerebbe non combaciare con le cosiddette testimonianze, ma il fatto di aver messo in pasto all’opinione pubblica il nome di una donna che, secondo la tesi del libro, avrebbe partecipato a tutte le stragi mafiose, è qualcosa che dovrebbe essere inaccettabile in uno Stato di diritto. I pentiti sconfessati dal pm Stefano Luciani Non è finita qui, il bello deve ancora venire. Andiamo con ordine. Si pensava fosse chiarita per sempre la vicenda di Giovanni Aiello, conosciuto oramai con l’epiteto di “Faccia da mostro”.

Vero che è morto di crepacuore nel 2017, ma non è la morte il motivo della sua archiviazione: sono le indagini fatte a più riprese a sconfessare qualsiasi sua compartecipazione alle stragi mafiose del 1992 o, addirittura, ai cosiddetti delitti eccellenti. D’altronde le uniche testimonianze (alcune di doppio, se non triplo de relato) provengono da alcuni pentiti di bassa lega, senza aver avuto ruoli apicali nei vertici mafiosi.

Ovviamente tutti sconfessati dopo un vaglio scrupoloso eseguito dalla procura di Caltanissetta. In particolar modo nel 2018 dal magistrato Stefano Luciani, fino a poco tempo fa sostituto della procura nissena. Conosciuto per aver svelato, assieme a Gabriele Paci, l’indicibile depistaggio sulla strage di Via D’Amelio. Quindi uno dei rari magistrati che i depistaggi, sa riconoscerli subito. Ci sono atti, verbali, indagini capillari.

Ma non basta. È necessario scriverci un libro – da poco uscito in tutte le librerie e sponsorizzato su La 7 in prima serata da Purgatori -, per raccontare e infine archiviare la storia del “mostro” Aiello, per poi passare il testimone alla donna “misteriosa”, quella che secondo Abbate potrebbe essere stata la compagna di merende di “faccia da mostro”: l’avrebbe aiutato nel compiere le stragi di mafia.

Non conosciamo il fascicolo chiuso dalla procura di Catania, ma prendiamo per vero ciò che racconta Abbate nel libro. Chi parla di questa donna? Leggendo i nomi citati dal libro, sono sempre loro: pentiti di bassa lega. Gli stessi già sconfessati per quanto riguarda “Faccia da mostro” Aiello. Tra di loro spicca il solito Nino Lo Giudice detto “il nano”, uno che dalla stessa 'ndrangheta di cui faceva parte veniva considerato un venditore di cocomeri.

A questi se ne è aggiunto nel frattempo uno nuovo: ovvero Pietro Riggio, ma Abbate qui ha preso l’ennesimo abbaglio. Molto probabilmente, per distrazione si è dimenticato di scrivere nel libro che la donna indicata ha un nome e un volto diversi. È stata già identificata e sentita. Non c’entra assolutamente nulla con la protagonista (suo malgrado) del nuovo romanzo criminale. Ma chi è Riggio? Guarda caso anche lui, ex agente penitenziario poi passato alla mafia, ha ricoperto un ruolo certamente non di “rango”.

A quanto pare, dei segreti più indicibili, ne venivano a conoscenza soli gli “uscieri” della mafia. Un insulto all’intelligenza. Il pentito Pietro Riggio indicò un’altra donna Riggio ha raccontato di aver visto Aiello, “Faccia da mostro”, in Bmw, con alla guida una donna. Abbate però, nel libro non dice che verrà identificata con il nome di Marianna Castro, di origine libiche ed ex compagna di Giovanni Peluso. Quest’ultimo altro ex truffatore e millantatore. Lei non c’entra nulla con la Gargano.

Non solo. Riggio dice pure che questa donna sarebbe scesa dalla macchina e che portava pantaloni mimetici. La Castro, fervente seguace del defunto guru indiano Sai Baba, dice però tutt’altro durante il suo interrogatorio. Ad esempio che non era una Bmw ma una Lancia Delta, che in realtà non sarebbe mai scesa da quella macchina e che indossava abiti normali. Qual è la verità? Pietro Riggio si ricorda il numero di targa. Una memoria fotografica a distanza di decenni. La squadra mobile ha fatto degli accertamenti.

La targa esiste, ma è di un trattore. “Faccia da mostro” non era nei servizi Ritorniamo a “Faccia da mostro”. Smentiamo subito il fatto che appartenesse ai servizi segreti. Anche se durante il programma di Purgatori, tutti lo hanno dato per certo. Come si evince dalle risultanze investigative da parte della procura di Caltanissetta relative al 2012, emerge che non ha mai collaborato a qualsiasi titolo con apparati dei servizi. Non solo. Relativamente al periodo degli attentati mafiosi siciliani, si legge che «nessun elemento comprova la presenza in Palermo, nei periodi indicati dai collaboranti (dalla fine degli anni ’80), di Giovanni Aiello, sussistendo, di contro, elementi che ne escludono la presenza per quel periodo».

Egli era stato un poliziotto che ha prestato servizio nella Polizia di Stato dal 1964 al 1977. Anno questo durante il quale è stato posto in congedo per inidoneità al servizio a causa delle turbe nevrotiche dovute soprattutto dall’incidente (una fucilata in faccia alla mandibola destra) che gli ha creato una brutta cicatrice al viso. Lavorare, stare tra colleghi, con mezza faccia deturpata non è piacevole. Ha resistito per qualche anno, ma poi il congedo è inevitabile.

Negli ultimi tre anni di servizio ha lavorato presso la Squadra Mobile della Questura di Palermo - Squadra Catturandi, a capo c’era Bruno Contrada. Dopodiché, così risulta dalle indagini, da allora ha vissuto con la moglie in una località marittima della Calabria. Villani e Lo Giudice: interrogati e smentiti Tutto qui? No, non è semplice.

Ci sono i pentiti. I soliti già citati. C’è Abbate che parla di Consolato Villani, altro pentito di basso rango che parla di “Faccia da mostro” e della “donna misteriosa”. Andiamo al punto. Per farlo bisogna prendere ad esempio uno dei tanti passaggi scritti nella richiesta di archiviazione. Tra le tante cose, Villani parla pure di un coinvolgimento di Aiello e di una donna alla strage di Capaci. Ecco cosa si legge negli atti: «Comunque sia, rileva che il narrato di Consolato Villani appare talora incerto, talora un poco contraddittorio, talora smentito da altri collaboratori della giustizia che ebbero pari o più elevato grado nella ‘ndrangheta e, dunque, dotati di un bagaglio di conoscenza più ricco e approfondito».

E ancora: «Si aggiunga che Villani riferisce un doppio de relato, limitandosi a riportare le confidenze di Antonino Lo Giudice al quale, a sua volta, altri ignoti personaggi avrebbero svelato il coinvolgimento di terzi estranei nella strage di Capaci». E giungiamo alla conclusione: «L’utilità probatoria, pertanto, delle dichiarazioni di Consolato Villani rasenta il fondo». Si tocca il fondo. Ed è vero. Ancora una volta non ci si accorge che si attribuisce considerazione e rilevanza a quello che l’allora Pm Luciani aveva descritto come «un coacervo di dichiarazioni a dir poco incoerenti e incostanti, contrassegnate da un continuo mutamento di versione e senza che a tali adeguamenti o cambi di rotta siano seguite logiche e convincenti spiegazioni ad un simile comportamento processuale».

Non c’è spazio in questo nostro articolo per entrare ancor di più nel dettaglio, altrimenti avremmo potuto approfondire le dichiarazioni dei pentiti che hanno una genesi scaturita da altre indagini con tanto di singolari interferenze, rilevate peraltro in modo perentorio e autorevole, dallo stesso sostituto procuratore Luciani nella sua richiesta di archiviazione. Qualcosa, sicuramente non torna. «Si tratta, in conclusione, della necessità di non asseverare ipotesi allo stato indimostrate ed indimostrabili e che rasentano, a tratti, l’inverosimile: non ne abbiamo bisogno», conclude, data 2018, il procuratore nisseno. La domanda quindi nasce spontanea: perché, al contrario, c’è chi insiste su questa strada che rasenta il fondo?