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Dopo la decisione del giudice di sorveglianza di Roma di anticipare l’udienza al 13 luglio per Marcello Dell’Utri, l’ex senatore di Forza Italia che si trova in gravi condizioni di salute, arriva una decisione della Cassazione simile a quella di Totò Riina. Per Marcello Dell’Utri originariamente la data per l’esame della vicenda relativa allo stato di salute e alla sua compatibilità con il regime carcerario era fissata al 21 settembre. I magistrati di sorveglianza hanno così recepito la sollecitazione giunta dal Garante nazionale delle persone detenute Mauro Palma, il quale ha espresso seria preoccupazione per le condizioni evidenziate in atti documentali e ha quindi auspicato che «ogni decisione in merito al suo caso, da parte della magistratura di sorveglianza non vada al di là di tempi ragionevoli, al fine di tutelare, qualunque sia la forma che verrà decisa, la sua salute, che referti medici riportano come particolarmente critica».
La Corte di Cassazione si espressa sul ricorso presentato dai legali dell’ergastolano Giuseppe Farinella, 91 anni, contro la proroga del 41 bis. Il boss, condannato all’ergastolo in via definitiva nel 2008 per concorso nelle stragi di Capaci e via D’Amelio in quanto capo del mandamento di cosa nostra di San Mauro Castelverde, presenta delle gravi patologie tanto da essere ricoverato sempre in regime di 41 bis - presso il “repartino” penitenziario ospedaliero di Parma dove c’è anche Totò Riina. Si tratta di un piccolo reparto composto da tre stanze e occupate dai tre detenuti al 41 bis, malati e con età avanzata. Nell’accogliere il ricorso, la Cassazione sottolinea il principio previsto dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali per cui vige il divieto di infliggere al condannato trattamenti contrari al senso di umanità, e per questo ordina al tribunale di sorveglianza ( che ha respinto l’istanza) di pronunciarsi nuovamente valutando la «possibile incidenza delle condizioni di salute ( unite all’età particolarmente avanzata)», il «divieto di trattamento inumano e degradante», e «l’attuale pericolosità» del detenuto, cui il regime carcerario differenziato vieta contatti con l’esterno.
I magistrati di sorveglianza, nel respingere la richiesta, avevano scritto che pur in presenza di condizioni di salute indubbiamente gravi, le patologie «non incidono sullo stato mentale e sulle capacità cognitive del soggetto recluso» e quindi sulla sua possibilità di comunicazioni con l’esterno. Per la Cassazione, invece, considera rilevante la sua situazione patologica obiettivamente grave che, unità all’età avanzata, potrebbe determinare un concreto rischio di trattamento inumano o degradante. Quindi invita il tribunale di sorveglianza a valutare se la proroga comporti un «aggravamento delle condizioni di vita del soggetto», e se così fosse sarebbe «necessaria la rimozione del regime differenziato, ferma restando la permanenza in carcere». In secondo luogo, spiegano i giudici, non è possibile affermare, per giustificare la necessità della conferma del carcere duro, che il pericolo di comunicazione con l’esterno venga a mancare solo in presenza di «patologia psichica totalmente invalidante». Va invece considerata «l’incidenza dello stato patologico, eventualmente insorto». Come nel caso di Farinella, spiega il collegio, «caratterizzato peraltro dalla esistenza di un fattore obiettivo di aggravamento della condizione fisica correlata all’età».