La giustizia entra con gli scarponi pesanti nel cantiere aperto del Partito Democratico, in piena discussione congressuale. A scatenare il dibattito, nemmeno a farlo apposta, è quello che più di tutti aveva provato a rimanere fuori dalle beghe di segreteria: il “solo senatore” Matteo Renzi, impegnato a ripetere da tutti i palchi in cui presenta il suo libro che lui «non si occupa del congresso» e sosterrà «fedelmente il nuovo segretario, chiunque sia». Invece, l’onda d’urto giudiziaria che ha portato agli arresti domiciliari i genitori del’ex premier con l’accusa di bancarotta fraudolenta e false fatturazioni ha investito in pieno i dem. Renzi ha parlato di giustizia a orologeria, di accanimento nei confronti dei suoi genitori per attaccare lui. E tanto è bastato.

I renziani, sparsi in mille rivoli tra le mozioni congressuali di Martina e Giachetti, si sono schierati - apertamente o meno in favore dell’ex segretario, di fatto avallando le critiche alla magistratura. Tanto da dover far correre ai ripari Maurizio Martina, che si è dovuto affrettare a precisare di avere fiducia nei giudici e nella giustizia.

Molti indizi, tuttavia, hanno fatto una prova: una parte, in particolare quella renziana, del Pd vede con favore la separazione delle carriere tra giudici e pm.

Nella storia dei dem, il tema è sempre stato affrontato con prudenza, sia per ragioni di forma che di sostanza. Di forma, perchè la separazione delle carriere è uno dei cavalli di battaglia di Silvio Berlusconi, le cui vicende giudiziarie hanno monopolizzato il dibattito pubblico della seconda Repubblica. Di sostanza, perchè il Pd è storicamente un partito che conta tra le sue fila noti esponenti della magistratura, che non hanno mai visto con favore una norma in tal senso.

Oggi, inaspettatamente, il tema torna d’attualità. Il primo indizio è una frase sibillina proprio di un berlusconiano doc come l’avvocato Francesco Paolo Sisto, che ha depositato e fatto calendarizzare un disegno di legge sulla separazione delle carriere in commissione Affari costituzionali. «A parte i Cinque Stelle, il clima non è ostile, neanche da parte del Pd», ha commentato all’Huffington Post. Nei fatti, si tratta di un disegno di legge senza prospettive di successo, ma un potenziale asse dem- forzista sul tema farebbe ugualmente notizia. Il secondo, il fatto che il vicepresidente del Csm, il dem renziano e avvocato David Ermini si sia fatto vedere in Parlamento in compagnia di colleghi noti come “non avversi” all’idea, come il costituzionalista Stefano Ceccanti e le due avvocate Maria Elena Boschi e Alessia Morani.

Il terzo indizio, il fatto che nella mozione di Maurizio Martina sia chiaramente scritto: «Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale». Posizione, questa, da sempre sposata anche da Roberto Giachetti, che due anni fa aveva sottoscritto la proposta di legge per la separazione delle carriere promossa dall’Unione nazionale camere penali.

A volerne aggiungere un quarto, ci sono le dichiarazioni di molti deputati di fede renziana, come Ettore Rosato, che avanza dubbi sulla tempistica della custodia cautelare ai coniugi Renzi e ribadisce che «le azioni dei magistrati possano essere giudicate, si possono commentare, come le azioni dei politici e dei giornalisti».

Insomma, il tema - se non direttamente della separazione delle carriere - della giustizia entra prepotentemente nel dibattito congressuale, scavando l’ennesimo solco tra gli ex renziani Martina e Giachetti e il favorito ed esponente della sinistra Pd, Nicola Zingaretti. Il governatore del Lazio formalmente tace, salvo ribadire che «i magistrati sono liberi di di indagare: ma in questa inchiesta Renzi non c’entra nulla, sono problemi di una azienda di famiglia». Ad esporsi sul tema, invece, è uno dei suoi grandi elettori ed ex ministro della Giustizia, Andrea Orlando: «A me non pare un’idea particolarmente brillante aprire una discussione su modifiche costituzionali al titolo 4 ( giustizia), con questo Parlamento e con la Lega in ascesa».

Che sia o meno un’idea brillante, tuttavia, il tema è entrato prepotentemente tra i punti chiave che differenziano le mozioni congressuali del Partito Democratico e inevitabilmente potrebbe orientare il posizionamento della componente - se non renziana - garantista all’interno del partito.