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Doveva essere una vacanza in famiglia, una pausa d’estate tra le spiagge della Sardegna. Ma per Mahdi Rahimian, cittadino olandese di origine iraniana e rifugiato politico riconosciuto nei Paesi Bassi, si è trasformata in un incubo: manette ai polsi, arresto su mandato della Repubblica Islamica e il rischio concreto di finire consegnato a chi lo perseguita da anni.
Martedì scorso, Irene Testa, garante regionale per le persone private della libertà, ha scritto al ministero dell’Interno per mettere in luce l’incongruenza tra lo status di rifugiato politico e cittadino Ue di Rahimian e il suo arresto in Italia. Nella richiesta di chiarimenti, la garante ricorda che Rahimian era fuggito dall’Iran per motivi religiosi – la conversione al cristianesimo e l’aiuto a connazionali in fuga – e aveva ottenuto protezione e cittadinanza nei Paesi Bassi. Perciò chiedeva di spiegare le basi giuridiche che hanno permesso di eseguire, sul territorio italiano, un mandato di estradizione emesso dalla Repubblica Islamica, in apparente violazione delle garanzie europee per i rifugiati.
Il 4 luglio scorso, la Digos di Sassari ha notificato il mandato di estradizione emesso nel novembre 2021 dall’Autorità giudiziaria di Bandar Abbas, accusando Rahimian di presunta frode – reato punibile fino a sette anni di carcere. All’udienza del 7 luglio, il tribunale di Sassari ha convalidato l’arresto, ma sostituito la custodia in carcere con l’obbligo di firma quotidiana ad Arzachena e il ritiro del passaporto. Nella motivazione della corte d’Appello di Cagliari, i giudici hanno giudicato “generiche” le informazioni trasmesse dall’Ambasciata olandese sul perché Rahimian avesse ottenuto lo status di rifugiato, senza indicazioni chiare sulla persistenza del rischio di persecuzione religiosa. Addirittura, si legge nelle motivazioni, che “allo stato degli atti, attesa la genericità delle informazioni non sussistono le condizioni per ritenere che, se estradato, il Rahimian sarà sottoposto ad atti persecutori per motivi religiosi”. Quindi nulla osta all’estradizione secondo l’art. 714, comma3, c. p. p.
Parole che lasciano perplessi. In Iran, come denunciano diverse ong, la conversione dall’islam al cristianesimo è illegale e i convertiti possono essere arrestati e rinchiusi in prigione. Il governo interpreta le conversioni come un tentativo occidentale di minare l’islam e il governo iraniano stesso. Ciò significa che chiunque venga scoperto membro di una chiesa domestica può essere accusato di crimini contro la sicurezza nazionale: tale accusa può condurre a lunghe pene detentive. Chiunque venga arrestato o detenuto può subire torture e abusi durante la prigionia.
Da qui l’intervento della garante regionale dei diritti, Irene Testa, che a Il Dubbio definisce “surreale” l’impostazione della Corte: «Se lo rimandano in Iran, la prima cosa che fanno è impiccarlo, lo fanno fuori», ha denunciato. «Come può un rifugiato politico, cittadino Ue, ricevere protezione nei Paesi Bassi e finire in cella in Italia per aver aiutato altri iraniani a fuggire?». La normativa europea è chiara: lo status di rifugiato riconosciuto in uno Stato membro vincola gli altri paesi dell’Unione a non rimandare chi gode di protezione internazionale in luoghi dove rischia persecuzioni o torture (direttiva? 2011/ 95/ UE). Eppure, la vita di Rahimian resta appesa a un filo. Resta da chiedersi: quale verifica ha condotto il ministero dell’Interno sulla credibilità delle garanzie iraniane? In un momento in cui l’Europa pretende coerenza tra principi e prassi, l’Italia può permettersi di ignorare l’ombra cupa del regime di Teheran? E soprattutto: fino a che punto il rispetto degli accordi internazionali e la tutela dei diritti umani possono cedere il passo a un foglio firmato a Bandar Abbas?