Si sblocca l’impasse sulla riforma del processo penale: oggi cabina di regia del governo tra il premier Mario Draghi, la guardasigilli Cartabia e i capi delegazione delle forze di maggioranza, sull’intera riforma della giustizia, domani gli emendamenti al penale dovrebbero approdare in Consiglio dei ministri. Dietro la fine dello stallo, probabilmente anche la timida schiarita all’interno dei 5 Stelle, che restituisce al Movimento un minimo di serenità per potersi sedere al tavolo. Dunque doppio sigillo politico-governativo in arrivo sul ddl che rappresenta un obiettivo primario per Cartabia, la quale proprio due giorni fa a Catania aveva ammonito: «Per la democrazia non si può fare a meno di garantire i diritti dei cittadini, ma anche la vita economica», e per fare questo «bisogna anche intervenire sui tempi della giustizia» perché «una giustizia lenta e in affanno, incapace di risposte veloci, rappresenta un fardello per il rilancio anche economico del nostro Paese». La ministra della Giustizia in queste settimane ha incontrato le forze di maggioranza per arrivare a una sintesi tra le varie posizioni dei partiti che sostengono l’esecutivo. Il metodo, come sempre, è quello del dialogo, ma il nodo prescrizione resta sul tavolo, con il Movimento 5 stelle che, seppur ferito, continua a combattere per difendere il testo Bonafede. Eutanasia, approvato il testo base Intanto ieri, dopo settimane dalla sua presentazione, il testo base sul fine vita e l’eutanasia è stato approvato dalle commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera. Il provvedimento fa proprie le indicazioni della Consulta fornite nella sentenza del 2019. Contrari FdI, Lega e FI. Secondo Filomena Gallo e Marco Cappato, segretario e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, impegnati proprio con il referendum per introdurre l’eutanasia attiva in Italia, «il Parlamento italiano finalmente batte un colpo sul tema dell’aiuto alla morte volontaria: è il primo segnale», dicono, « a quasi tre anni dal primo richiamo della Consulta, ribadito poi con la sentenza Cappato-Dj Fabo». Sempre a proposito di riforme, slitta di una settimana in commissione Giustizia al Senato l’esame di quella del processo civile, su cui l’avvocatura ha espresso diverse perplessità. Ieri Palazzo Madama ha infatti deciso di riaprire il termine per presentare i subemendamenti alle modifiche depositate da Cartabia, fissato a giovedì prossimo alle 12. L’esame del complesso di emendamenti e subemendamenti slitterà quindi a martedì della prossima settimana, 13 luglio. Su questa riforma si è espresso ieri anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nel corso del suo intervento all’assemblea annuale dell’Abi: «La gestione dei crediti deteriorati, inclusa la scelta se cederli sul mercato o mantenerli in bilancio, sarà anche influenzata dalle riforme della giustizia civile».Continua a tenere banco anche il tema dei referendum sulla giustizia promossi da Lega e Partito radicale. Dopo le obiezioni avanzate, sul Fatto quotidiano, dell’ex pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo, ieri è arrivata la bocciatura anche da parte di Alfonso Sabella, giudice del Tribunale del Riesame di Napoli ed ex assessore al Comune di Roma, che a Radio Cusano ha partecipato la sua «perplessità» sul merito dei referendum con i quali addirittura «si rischia di fare danni anziché risolvere i problemi». In particolare Sabella si è soffermato sul quesito che introdurrebbe, per avvocati e professori, il diritto di voto sulle valutazioni di professionalità relative ai magistrati espresse dai Consigli giudiziari: «Sull’equa valutazione dei magistrati - ha spiegato - sono d’accordo sul fatto che il sistema vada cambiato, perché attualmente non c’è una valutazione equa dei magistrati, che vengono valutati sempre positivamente, quando invece non sempre sono tutti belli e bravi. Nel referendum però si propone di dare diritto di voto ai professori universitari e agli avvocati: dovremmo impedire l’effetto opposto, cioè che l’avvocato voti contro il magistrato che gli è andato contro». Ma alla fine Sabella ammette: «Noi magistrati ce lo siamo cercati questo referendum, perché abbiamo gestito malissimo il potere». Intanto si registra l’adesione di Guido Crosetto, che si affranca da Giorgia Meloni e si schiera con Matteo Salvini, appoggiando tutti e sei i quesiti, invece che solo quattro come deciso dalla leader di Fratelli d’Italia. La posizione del cofondatore di Fd’I, differente rispetto a quella ufficiale del partito, non sarebbe isolata: altri dirigenti condividerebbero tutto il pacchetto ma farebbero fatica a uscire allo scoperto. Chissà se questo sì al referendum da parte di Crosetto, che qualche giorno fa aveva dato vita insieme a deputati bipartisan - Giachetti (IV), Bartolozzi (FI), Pittella (Pd) - al sito presuntoinnocente.com, non spinga lo stesso deputato di Azione Enrico Costa, promotore dell’iniziativa, a sostenere le sei proposte referendarie.