Si sta trascinando ormai da mesi davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura il procedimento a carico dei pm napoletani Henry John Woodcock e Celestina Carrano. L’istruttoria, iniziata a febbraio, si sarebbe dovuta concludere lo scorso 16 luglio quando era in calendario sia l’audizione degli ultimi testi, il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo ed il sostituto Mario Palazzi, poi saltata e rinviata ad oggi pomeriggio, che la pronuncia della sentenza dopo le conclusioni dell’accusa e della difesa.

Considerato che questa è l’ultima settimana di lavoro a Palazzo dei Marescialli prima della pausa estiva e che a settembre si insedierà la nuova consiliatura, tutto fa intendere che l’attuale Csm voglia lasciare la “patata bollente” dell’affaire Consip a chi verrà dopo.

Non sarebbe la prima volta che un procedimento disciplinare passa di mano: un caso noto è quello di Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale della Cassazione che nel 2013 confermò la sentenza di condanna per Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, accusato di aver violato il dovere di riserbo commentando la sentenza prima del deposito delle motivazioni con un giornalista. Il procedimento, iniziato sotto la vicepresidenza di Michele Vietti fu concluso dal Csm in carica con una assoluzione per “essere risultati esclusi gli addebiti”. Tornando alle incolpazioni, ai due magistrati napoletani viene contestato l’interrogatorio del presidente della partecipata fiorentina Publiacqua, Filippo Vannoni. Indicato dall’ex ad di Consip, Luigi Marroni, come uno dei soggetti che lo informarono di una indagine in corso, Vannoni, che chiamò in causa l’allora sottosegretario Luca Lotti e i vertici dell’Arma dei carabinieri, i generali Tullio Del Sette ed Emanuele Saltalamacchia, venne ascoltato dai pm napoletani come persona informata dei fatti, senza quindi l’assistenza di un difensore. Fu interrogatorio molto duro, ha ricordato Vannoni: domande «pressanti «concentrate soprattutto sui «rapporti con Matteo Renzi» e una frase, «vuole fare una vacanza a Poggioreale», che gli sarebbe stata rivolta da Woodcock e di fronte alla quale rimase ' «colpito e intimidito» . A verbalizzare l’interrogatorio fu il maggiore Scafarto, all’epoca capitano del Noe, ha proseguito Vannoni. Ed era proprio Scafarto l’interlocutore principale, con domande ma anche pressioni per rispondere: «risponda, risponda, risponda». E ancora: «confessi», o «chi te l’ha detto?». «Feci il nome di Lotti per levarmi dall’impaccio, me ne volevo andare. A un certo punto chiesero di posare lo sguardo verso la porta: c’erano dei fili e dissero che erano delle microspie. Scafarto disse che avevano messo microspie ovunque e che sapevano tutto. Il verbale non l’ho riletto, l’ho firmato e me ne sono andato senza salutare», ha poi concluso Vannoni.

Secondo la Procura generale della Cassazione che ha esercitato l’azione disciplinare c’erano, però, già allora gli elementi per iscriverlo nel registro degli indagati, cosa che fecero i pm romani quando il fascicolo venne trasmesso nella Capitale per competenza territoriale. Averlo sentito come testimone senza il legale di fiducia avrebbe «leso le sue garanzie difensive».

Woodcock deve rispondere anche di un’altra accusa. Si riferisce ad un articolo pubblicato il 13 aprile scorso dal quotidiano La Repubblica nel quale, in un colloquio con la giornalista Liana Milella, il magistrato si sarebbe lasciato andare a giudizi di valore sui colleghi romani.

Tutt’altro scenario, invece, per Scafarto. Secondo l’ufficiale Vannoni «fece i nomi di Matteo Renzi e Luca Lotti spontaneamente». «Vannoni - ha aggiunto Scafarto - era visibilmente non a suo agio. Era particolarmente nervoso ed iniziò a sudare. Venne invitato a ricordare chi gli avesse detto qualcosa su Consip». «L’esame venne condotto quasi esclusivamente da Woodcock», ha proseguito Scafarto, escludendo di aver posto domande al teste.

Scafarto, al riguardo, ha anche smentito le accuse di pressioni esercitate da Woodcock su Vannoni, come quella di mostrargli dalla finestra il carcere di Poggioreale e di chiedergli «se vi volesse fare una vacanza» e di fargli vedere dei fili, spacciandoli per microspie.

L’ex ufficiale del Noe, sotto inchiesta a Roma con le accuse di falso, rivelazione del segreto d’ufficio e depistaggio, dalla scorsa settimana è stato nominato assessore alla Legalità e all’Ambiente nella Giunta di centro destra del comune di Castellamare di Stabia. In una intervista ha dichiarato di aver chiesto “scusa” alla famiglia Renzi per quanto accaduto.