È trascorso un mese da quando il giudice Andrea Mirenda, presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Verona, pubblicò sul suo profilo Facebook un post in cui evidenziava come il sistema giudiziario fosse «improntato oramai ad un carrierismo sfrenato, arbitrario e lottizzatorio, che premia i sodali, asserve i magistrati alle correnti, umilia la stragrande maggioranza degli esclusi e minaccia l’indipendenza dei magistrati con la lusinga della dirigenza o la mortificazione di una vita da travet». In polemica con questo sistema, Mirenda decise di rinunciare al suo incarico semidirettivo per andare a ricoprire quello di magistrato di sorveglianza. Il suo sfogo venne raccolto nella chat di Autonomia& Indipendenza, la corrente delle toghe fondata da Piercamillo Davigo, ultimamente molto critica contro le scelte “incomprensibili” del Consiglio superiore della magistratura sugli incarichi direttivi.

Recentemente, su questo giornale, sia il consigliere del Csm di A& I Aldo Morgigni che quello di Magistratura democratica Piergiorgio Morosini hanno evidenziato profili di criticità nella scelta dei direttivi. In particolare, Morosini ha sottolineato «il protagonismo dei magistrati, spesso ossessionati dalla carriera». Morgigni, invece, ha stigmatizzato il fatto che alcune toghe considerino le correnti come «degli uffici di collocamento». Per correggere queste storture del sistema, dicono spesso alcuni magistrati non legati al sistema delle correnti, «sarebbe sufficiente sottrarre ai gruppi organizzati le nomine per gli incarichi direttivi e semidirettivi».

Fra queste voci fuori dal coro c’è il giudice Guido Salvini, della prima sezione del Tribunale di Milano che ha recentemente presieduto il collegio che ha giudicato Fabrizio Corona che, per le nomine dei capi degli uffici, ha elaborato una proposta.

Può illustrarci di cosa si tratta?

Per i direttivi, cioè il presidente di un Tribunale o il capo di una Procura, il Csm dovrebbe limitarsi a selezionare tra i candidati un gruppo di “idonei”, 4- 5 per ogni concorso. Poi tra di essi il vincitore sarebbe individuato per sorteggio. In questo modo le scelte del Csm cesserebbero di essere percepite come scelte politiche, il che è un danno per la credibilità della magistratura, cesserebbero gli accordi sottobanco e le differenze di valutazione artificiose e i sorpassi tra candidati resi possibili solo dal peso della propria corrente. È una proposta razionale ma nessuno vuole parlarne perché azzererebbe di colpo, introducendo una componente di area, i calcoli di chi si sta da tempo costruendo la “carriera” tramite militanze o incarichi extragiudiziari. Riporterebbe invece, come deve essere, l’attività in una corrente non ad una fabbrica di vantaggi ma ad un semplice impegno culturale e ideale rivolto verso la collettività

E per gli incarichi semidirettivi?

Sarebbe ancora più semplice. Per gli incarichi semidirettivi, come quello di Presidente di una sezione, sono pienamente d’accordo con il collega Andrea Mirenda. Basterebbe la rotazione biennale in questo compito tra i magistrati di ogni sezione con un minimo di anzianità. Ciò consentirebbe di diffondere le esperienze nella gestione di una sezione. Si smetterebbe di assistere a scene desolanti come le serrate “auto sponsorizzazioni” che prima di ogni concorso occupano tante ore di lavoro e alle “militanze” e alle “amicizie” non disinteressate con i capi corrente più influenti della propria sede. Tra l’altro in questo modo si ridurrebbero i tempi decisionali del Csm e quindi la scopertura dei posti grazie al dimezzamento di fatto dei concorsi che resterebbero limitati ai soli incarichi maggiori.

Ci sarebbero altri vantaggi dall’inserire una componente di sorte nelle nomine? Le sue proposte porterebbero a qualche altro beneficio nel funzionamento del Csm?

Etico sicuramente. Non si parla mai, ad esempio, del fatto che con il sistema attuale al Csm è possibile anche votare per gli incarichi i propri amici, il che è anche peggio del potere delle correnti. Le grosse sedi come Roma e Milano esprimono sempre parecchi consiglieri al Csm e in ogni concorso ci sono candidati che appartengono a quelle sedi. C’è chi ha votato semplicemente colleghi della sua sede con cui ha lavorato o cui era stretto da vincoli di amicizia anche da vent’anni. A discapito ovviamente degli altri concorrenti. Potrei citarle molti casi. Nessun consigliere del Csm, per quanto mi risulta, sente mai il dovere di astenersi.

Cambierebbe qualcosa anche sulle competenza dei capi degli uffici giudiziari?

Escluderei innanzitutto che debbano o vogliano occuparsi di contratti, appalti, organizzazione dei servizi. I capi devono organizzare il lavoro dei magistrati non organizzare le strutture della giustizia. La disinvolta gestione dei fondi Expo del Tribunale di Milano, in cui sembrano coinvolti non solo l’ex presidente del Tribunale Livia Pomodoro ma anche magistrati ancora in servizio, dovrebbe aver insegnato qualcosa. Da tempo attribuirsi, spesso a sproposito, “capacità organizzative”, magari senza essere mai entrati o entrare più per anni in una aula, è l’escamotage per accedere agli incarichi direttivi. Ma è una strada sbagliata. I magistrati devono occuparsi dei processi per il resto servono manager della giustizia con una specifica preparazione e professionalità.

Giudice, posso farle una domanda “indiscreta”?

Prego.

Ma non crede che sarà penalizzato da queste sue posizioni?

No, perché per principio non presento alcuna istanza. Non voglio chiedere niente a nessuno cioè esattamente rifiuto quello che con il sistema attuale è obbligatorio fare.