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È di ieri la nota che ha aggiornato le “Statistiche penali del Consiglio d’Europa”: l’Italia continua ad essere ai vertici della classifica continentale quanto a sovraffollamento delle carceri. L’“infamante” graduatoria è guidata da Macedonia, Ungheria e Cipro. Noi siamo sesti, ex aequo col Portogallo. La riforma penitenziaria appena messa sui binari della stazione di arrivo è dunque il minimo che il governo potesse fare. Eppure le forze uscite vincitrici dal voto del 4 marzo, Lega e M5s, già dicono di volerla sopprimere. A favorire proclami degni di una repubblica islamica, probabilmente, contribuisce la complessità della legislazione penitenziaria: un incrocio di benefici e preclusioni fitto, quasi inestricabile, che il provvedimento si limita a sfrondare. Chi pretende di semplificare con frasi del tipo “è un regalo ai delinquenti” dimostra con certezza solo una cosa: non ha letto le norme di cui parla. Leggerle è faticoso. Ma vale la pena si segnalare almeno alcuni degli aspetti tecnici di dettaglio contenuti nel decreto più importante, quello che tra l’altro modifica le preclusioni nell’accesso a benefici e misure alternative. Vi si coglie tutta la cautela con cui il guardasigilli Andrea Orlando e l’esecutivo hanno messo mano alla materia. Come è evidente, l’istituto che più di ogni altro confligge con il principio costituzionale del fine rieducativo della pena è l’ergastolo ostativo. Quella di chi parte da un “fine pena mai” è infatti una condizione disperante nel momento in cui si accompagna all’impossibilità di ottenere, anche dopo diversi anni, permessi premio e, man mano, altri benefici fino alla semilibertà. Una pena pur lunga ma limitata nel tempo, invece, lascia comunque aperto un orizzonte di speranza. Ecco, proprio quello che è l’aspetto più controverso dell’ordinamento, dal punto di vista della legittimità costituzionale, non viene di fatto intaccato, se non in minima parte e con seri rischi di sostanziale inapplicabilità. Com’è noto, la ostatività alla concessione di benefici è regolata dall’articolo 4 bis dell’ordinamento. Ora, i reati di mafia terrorismo restano a pieno titolo in questa “segregazione ostativa”. E naturalmente, l’efficacia del famigerato articolo 4 bis permane anche su fattispecie introdotte in tempi relativamente recenti, come quella dello “scambio elettorale politico mafioso”. Discorso simile per le associazioni a delinquere finalizzate ad altri gravi delitti: si tratta di quelle rivolte a “riduzione in schiavitù”, “prostituzione minorile”, “sequestro di persone a scopo di estorsione”, dei delitti relativi all’immigrazione clandestina; si tratta inoltre delle associazioni fi- nalizzate allo spaccio di droga e al contrabbando. Il solo minimo aggiustamento per tali categorie di reati è che l’ostatività cade per chi è riconosciuto colpevole di alcuni di questi delitti sul piano “monosoggettivo”, in particolare per il sequestro a scopo di estorsione, l’acquisto e l’alienazione di schiavi e i reati di cui all’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione. In realtà c’è un superamento della preclusione ostativa anche per chi è coinvolto nelle associazioni criminali sopra ricordate a livello di “mera partecipazione”, senza aver rivestito alcun ruolo di particolare rilievo. Una norma di minimo buonsenso: chi ha fatto parte di associazioni a delinquere in modo periferico, chi ne è in pratica un satellite e non partecipa alle fasi decisionali, andava assolutamente ascritto al novero dei soggetti per i quali lo Stato deve concedere un’opportunità rieducativa. Ma la cosa spiazzante è che la possibilità di applicare effettivamente l’apertura ai benefici per tali “pesci piccoli” delle bande criminali ( sempre comunque non mafiose né terroristiche) resta sospeso all’esilissimo filo di magistrati di sorveglianza così coraggiosi da distaccarsi da valutazioni anche solo dubitative dei procuratori distrettuali. Ecco, per chiarire quest’ulteriore limite delle modestissime aperture sul 4 bis va chiamato in causa un altro mito senza fondamento, quello secondo cui i magistrati dell’accusa non avrebbero più potuto pronunciarsi sulla pericolosità sociale dei soggetti. È vero che il decreto appena varato sopprime la disposizione di cui al comma 3 del 4 bis, che assegnava al capo della Dna o al procuratore distrettuale il potere di precludere l’accesso ai benefici. Ma è anche vero che resta in piedi il comma 2, in base al quale il procuratore distrettuale è comunque tenuto a rendere un parere al giudice di sorveglianza riguardo la pericolosità del soggetto. E poiché in questi pareri quasi mai si riesce a dire con certezza che un certo condannato per reati associativi di riduzione in schiavitù, o sequestri di persona e così via, è effettivamente periferico all’organizzazione, di fatto l’ostatività finirà per permanere, nella maggior parte dei casi, anche i “meri partecipanti”. Va insomma assolutamente sfatata la leggenda nera di una riforma permissiva. Idea che davvero può nascere solo dall’ignoranza della norma. ( 1 – continua)