In apparenza è una delle tante udienze che si celebrano davanti alla Consulta. Una delle tante anche se in realtà tutte sono importanti, visto che vi si determina sempre e comunque l’aderenza delle norme ai principi inviolabili. Non sempre però le questioni che finiscono davanti al giudice delle leggi hanno ricadute così dirette sul dibattito politico quotidiano. Sarà questo il caso del giudizio di costituzionalità in calendario per il prossimo 4 dicembre. Perché quel giorno, o meglio in quello successivo quando si riunirà in Camera di consiglio, la Corte costituzionale potrebbe prendere una decisione rilevantissima rispetto al futuro reddito di cittadinanza, e più precisamente rispetto alla possibilità di negarlo agli stranieri.

Il caso in discussione martedì prossimo, ovviamente, non riguarda il reddito caro al Movimento cinquestelle ma un’altra forma, già esistente, di sussidio per i poveri, ossia l’assegno sociale. Si tratta del sostegno economico minimo previsto per chi ha 67 anni ( soglia così innalzata dal prossimo 1° gennaio) e non ha maturato il diritto a una pensione ordinaria. Nell’udienza del 4 dicembre, in particolare, la Consulta dovrà decidere sulla legittimità costituzionale della norma che esclude dall’assegno sociale gli stranieri privi di un ben determinato requisito, ossia un permesso di soggiorno “di lunga durata”, normalmente concesso a chi risiede in Italia da almeno 5 anni. Nel 2016 l’avvocato di H. H., straniero residente a Bergamo di origini serbe, aveva sollevato la questione di legittimità dinanzi a un giudice del Tribunale lombardo. In realtà, se avesse voluto prendersi un filo di licenza interpretativa, il magistrato avrebbe anche potuto provare a risolvere “da solo” la controversia, insorta fra l’anziano straniero e l’Inps: in passato infatti la Consulta si era già pronunciata su un analogo punto di diritto. Ciononostante il Tribunale di Bergamo ha preferito che i giudici costituzionali si esprimessero sulla materia in via definitiva e ha rimesso loro la questione.

Perché la pronuncia attesa per mercoledì prossimo potrebbe avere un effetto dirompente sul nodo del reddito di cittadinanza? Semplice: la Corte potrebbe bocciare come discriminatorio il requisito del permesso di lunga durata e con esso la residenza da almeno 5 anni. Non si tratta di una previsione irragionevole. Innanzitutto il permesso in questione, formalmente ancora necessario allo straniero che chiede l’assegno sociale, è a sua volta concesso a condizione di essere già beneficiari di un reddito da lavoro di importo almeno pari a quello dell’assegno sociale stesso: 513 euro al mese. È vero che chi ha già un lavoro – e uno stipendio – può perderli senza per questo vedersi ritirare il permesso di lungo periodo, ma certo si tratta di un vincolo paradossale. E soprattutto: non si può affatto escludere che la Consulta giudichi semplicemente incostituzionale negare le prestazioni Inps agli stranieri poveri comunque residenti in Italia, anche da meno di 5 anni. In altre parole, la Corte presieduta da Giorgio Lattanzi potrebbe stabilire che gli stranieri over 67 hanno diritto all’assegno sociale anche se privi di permesso “lungo” e residenti da meno di 5 anni.

«Non mi sento affatto di escludere che la decisione della Consulta sia tale da riverberarsi indirettamente sul reddito di cittadinanza», spiega il difensore di H. H., Alberto Guariso. «Naturalmente», prosegue l’avvocato, «si tratta di capire quale sarà lo spettro di ampiezza della pronuncia, se cioè si limiterà a dirimere il dubbio relativo alla vigenza della norma che introdusse il requisito del permesso di soggiorno, in un certo modo scavalcata da una successiva stretta che ha introdotto addirittura il vincolo della residenza da almeno 10 anni. Se non fosse così, la Consulta potrebbe spingersi oltre e dichiarare illegittimo il vecchio requisito del permesso ‘ lungo’. Certo, in tale ipotesi, ci sarebbero conseguenze rilevantissime rispetto al reddito ipotizzato nella Manovra», conviene l’avvocato Guariso. «Al momento, si calcola che nel nostro Paese sarebbero 5 milioni in tutto le persone povere, prive di altre fonti di sussistenza, alle quali andrebbe il reddito. Un terzo di queste sono stranieri: un milione e 700mila. Tantissimi» . Il computo degli stranieri potenzialmente destinatari del “reddito” governativo già comprende chi risiede legalmente in Italia da almeno 5 anni anche se non ha un permesso di lunga durata. Ma appunto, la Consulta potrebbe non solo dichiarare illegittimo il requisito del “permesso lungo”, ma anche quello della residenza da almeno 5 anni. L’avvocato Guariso si batte da tempo per i diritti degli emarginati, degli stranieri emarginati soprattutto. All’università di Brsecia insegna Diritto antidiscriminatorio. E guida l’Associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione, che si occupa di queste fasce dimenticate e disarmate nella scalata alle protezioni sociali minime. Ciononostante, Guariso parla con prudenza. Insiste su quell’avverbio, «potenzialmente». Ma immaginiamo la scena: tra una settimana la Corte costituzionale stabilisce che il requisito del permesso “lungo”, per l’assegno sociale, è illegittimo, e che è discriminatorio il vincolo alla residenza da almeno 5 anni. A quel punto, se le regole sul reddito di cittadinanza escludessero gli stranieri che vivono in Italia da meno di 5 anni, il destino di tale vincolo sarebbe segnato: prima o poi verrebbero dichiarati a loro volta incostituzionali. Si tratterebbe di aspettare un anno o poco più. Certo, sarebbe azzardato sostenere che il presidente della Repubblica potrebbe rifiutarsi di promulgare una legge di Bilancio “deviante” rispetto al solco eventualmente tracciato dalla Consulta. Ma saremmo sul filo. Dopodiché è chiaro che un reddito di cittadinanza negato ad alcune centinaia di migliaia di stranieri poveri farebbe risparmiare diverse centinaia di milioni di euro nell’immediato, che però andrebbero restituiti uno per uno agli esclusi nel giro di un paio d’anni. Un altro debito pubblico. Magari piccolo. Ma tutt’altro che insignificante sul piano dei diritti negati.