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La situazione di un giovane detenuto di 19 anni, M. N., algerino, nella Casa Circondariale di Cagliari- Uta, ha sollevato crescente preoccupazione. Nonostante sia sottoposto a terapia farmacologica, il ragazzo manifesta un comportamento aggressivo nei confronti del personale penitenziario e delle persone che gli si avvicinano. Questa situazione ha portato al suo isolamento in cella ogni 2/ 3 giorni, un ciclo che crea ansia sia per il personale di sicurezza che per quello sanitario. Maria Grazia Caligaris dell'associazione “Socialismo Diritti Riforme ODV” denuncia questa vicenda, evidenziando la necessità di trovare un'alternativa alla semplice custodia, considerando la giovane età e i disturbi psichici del detenuto.
La rappresentante dell'associazione “Socialismo Diritti Riforme ODV”, sottolinea che il giovane detenuto affronta molte difficoltà a causa della sua giovane età e dei suoi problemi psichiatrici. La sua vita risulta particolarmente complicata, e sorgono problemi riguardo all'efficacia della terapia farmacologica, soprattutto in un ambiente carcerario che non è adatto alle esigenze di una persona con fragilità evidenti. Pertanto, si auspica un intervento del giudice per garantire che il ragazzo, che è anche in attesa di giudizio, possa essere trasferito in una struttura o in una comunità terapeutica in cui possa ricevere l'adeguato supporto farmacologico, psicologico ed educativo.
Secondo Maria Grazia Caligaris, la permanenza del giovane detenuto in isolamento potrebbe aumentare la sua frustrazione e i sentimenti di rivalsa e aggressività. I continui rapporti disciplinari conseguenti ai suoi atti aggressivi, fisici o verbali, porteranno a un prolungamento della sua permanenza in carcere, con conseguenze ancora più negative per lui e per il personale carcerario. Pertanto, la soluzione migliore non sarebbe solamente il trasferimento in un'altra struttura penitenziaria, ma l'individuazione di un'alternativa che possa fornire una risposta meno afflittiva, ma più efficace, per rendere il periodo di privazione della libertà più costruttivo.
La Casa Circondariale di Cagliari- Uta sembra essere diventata un luogo sempre più ricorrente per l'accoglienza di persone con gravi problemi socio- economici, comportamentali e psichici. Oltre ai detenuti affetti da disturbi psichiatrici e con doppia diagnosi, si stanno aggiungendo anche giovani appena maggiorenni come il ragazzo in questione. Questa situazione rappresenta un problema che richiede l'attenzione delle autorità, nel rispetto dell'ordinamento penitenziario. È evidente che il sistema carcerario attuale non è in grado di fornire una risposta adeguata alle complesse esigenze dei detenuti con problemi psichici, in particolare dei giovani. È fondamentale rivedere l'approccio nei confronti di questi individui, mettendo al centro la loro riabilitazione e il trattamento delle loro condizioni psichiche. Non possiamo permettere che il carcere diventi un luogo in cui vengono semplicemente ' nascosti' coloro che necessitano di cure adeguate. È necessario che il sistema giudiziario e le autorità competenti collaborino strettamente per individuare alternative alla detenzione tradizionale per questi giovani con problemi psichici. Strutture specializzate e comunità terapeutiche possono offrire un ambiente più idoneo, in cui il detenuto possa essere gestito in modo mirato, fornendo un supporto multidisciplinare che includa la terapia farmacologica, il sostegno psicologico e l'educazione. Inoltre, è indispensabile investire maggiormente nelle risorse umane e nella formazione del personale penitenziario per affrontare le sfide specifiche legate alla gestione dei detenuti con disturbi psichici. I professionisti del settore devono essere adeguatamente preparati per comprendere e interagire con queste persone, al fine di garantire un ambiente sicuro per tutti, senza compromettere la dignità e i diritti dei detenuti.
La vicenda denunciata dall’esponente di Socialismo Diritti Riforme, riguardante il detenuto di 19 anni con gravi problemi psichici recluso in isolamento evidenzia le criticità del sistema carcerario attuale. D’altronde nel carcere di Uta stesso, un uomo con problemi psichici si è dato fuoco. E proprio quattro giorni fa, la garante regionale delle persone private della libertà, Irene Testa, dopo un sopralluogo in un altro carcere sardo, quello di massima sicurezza di Bancali, parlando della situazione disastrosa ha detto: «A Bancali ci sono 17 detenuti in terapia antidepressiva, 66 in terapia con ansiolitici, 55 in terapia neuro antidepressiva, 10 in terapia con fiale e 18 tossicodipendenti in terapia sostitutiva». E ha aggiunto: «Tanti altri senza patologia conclamata ma con tratti disturbanti. E poi esci dal carcere e pensi alle situazioni più gravi. Al detenuto che dice di aver scoperto le piramidi ma in carcere nessuno gli crede o il detenuto autolesionista che mi mostra i segni nelle braccia e nel petto completamente affettato. E poi ancora un altro che non sa che fine ha fatto il cane dopo il suo arresto e mi chiede di chiamare il padre per recuperare il cane dal canile. Di soggetti con personalità borderline e bipolari sono piene le celle». La Garante Testa chiede che il governo, il ministro della Giustizia devono affrontare con urgenza il problema dei malati psichiatrici in carcere. «Si devono individuare strutture filtro che non siano carceri. Non serve a niente e a nessuno tenere questi malati nelle celle. Occorrono cure e strutture dedicate» , ha concluso.
Il rapporto dello scorso anno dell’associazione Antigone, raccogliendo i dati direttamente dagli operatori sanitari delle singole carceri visitate nell’ultimo anno, ha rilevato che il 13% del totale della popolazione detenuta ha una diagnosi psichiatrica grave, in numeri assoluti significa oltre 7 mila persone. Solo per una piccola parte, dalla diagnosi è seguita una misura di tipo giudiziario. Una rilevazione statistica relativa alla sola Toscana presenta numeri ancora più significativi, sottolineando come su 1.744 persone sottoposte a visita medica in un anno, 610 avessero almeno un disturbo psichiatrico, pari al 34,5% delle persone sottoposte a controllo medico. I numeri continuano a fotografare il carcere come “psico- patogeno” dove il disagio psichico, diagnosticato e non, è diffuso, capillare e omogeneo sul territorio nazionale. I “disturbi psichici” rappresentano la metà delle patologie rilevate nella popolazione detenuta. Per avere un’idea della consistenza di questo dato, basti pensare che gli altri due gruppi di patologie più diagnosticate in carcere, che sono quelle del sistema cardiocircolatorio e delle malattie endocrine, del metabolismo e immunitarie, sono entrambi al 15% del totale delle patologie rilevate. Dunque il disturbo psichico è di gran lunga la prima categoria diagnostica nelle carceri italiane.