Si è parlato troppo di economia. Poco di giustizia. Così poco che ieri Alfonso Bonafede, nuovo guardasigilli, si è celato dietro un cauto riserbo, quando i cronisti gli hanno chiesto di annunciare il suo primo provvedimento: «Niente anticipazioni. Ma sapete che mi occuperò di un settore nevralgico per il futuro del Paese». In effetti nel dibattito che ha segnato la lunga crisi istituzionale, quel rapporto in apparenza squilibrato che si è avuto tra economia, rapporto con l’Europa e con l’euro, da una parte, e amministrazione della giustizia dall’altra, non è stato solo una parossistica distorsione. Se è andata così è anche perché in materia di giustizia il nuovo esecutivo sarà molto condizionato dalle risorse. E potrà procedere ad attuare il “contratto”, condito da ipotesi interessanti ma anche gravato di proposte irragionevoli, solo dopo aver sciolto il nodo più generale della finanza pubblica. IL PRIMO PASSO?STOP A CARCERE E INTERCETTAZIONI Nell’immediato ne deriverà probabilmente una prima mossa “negativa”, l’accantonamento di due provvedimenti alla cui entrata in vigore mancherebbe pochissimo: la riforma dell’ordinamento penitenziario e il decreto sulle intercettazioni. Potrebbero finire entrambi su un binario morto. Con reazioni diverse da parte di avvocatura magistratura. Riguardo alle intercettazioni, il testo messo a punto da Andrea Orlando prevede che le nuove norme entrino in vigore dal 26 luglio prossimo. Ma Anm e Unione Camere penali hanno sollecitato il congelamento del decreto, per ragioni in parte convergenti, in particolare per il divieto di trascrivere le comunicazioni irrilevanti o lesive della privacy, ritenuto insidioso sia dai pm che dai penalisti. I primi temono di veder trasferita una eccessiva discrezionalità alla polizia giudiziaria, gli avvocati di non poter più individuare gli elementi utili alla difesa, persi in un mare di file digitali. Lo stesso Movimento cinquestelle ha violentemente criticato altri aspetti del provvedimento, come il divieto di attivare i trojan, i virus spia, nei domicili degli indagati nelle inchieste di corruizione. Se con un ulteriore provvedimento d’urgenza rinviasse o congelasse l’entrata in vigore del decreto Orlando, Bonafede avrebbe dunque notevoli possibilità di suscitare un consenso generalizzato. Ed è plausibile che opti per tale soluzione piuttosto che tentare di emendare il testo in poco più di un mese.Accantonare la riforma del carcere sarà ancora più semplice, ma assai più rischioso. Al di là dell’esame ancora non completato da parte delle commissioni parlamentari, basterà che l’esecutivo non adotti in via definitiva il provvedimento principale entro il 3 agosto e lasci così decadere la delega. Vorrebbe dire mandare per aria anni di lavoro, culminati negli Stati generali dell’esecuzione penale che hanno visto coinvolti avvocati, magistrati e il meglio dell’accademia. Scelta difficile. E, per il neo guardasigilli Bonafede, assai meno scontata del previsto. LA STRETTA PENALE E I RISCHI DI ATTRITO ANCHE CON I PM C’è d’altra parte una leggenda, che accompagna i cinquestelle: sono amici dei magistrati e, sulla giustizia, governeranno sotto loro dettatura. È uno schema banale di cui presto si poterebbe verificare l’inattendibilità. E qui torna di nuovo in questione il rapporto tra risorse disponibili e programma sulla giustizia inserito nel “contratto”. Sarebbe interessante veder subito realizzate le diverse buone idee inserite nel “capitolo 11” dell’accordo scritto da Movimento e Lega. Ma appunto, le idee migliori, in termini di equilibrio del sistema delle garanzie e affermazione dello Stato di diritto, sono quasi tutte costosissime. Richiedono aggiustamenti significativi nella programmazione delle finanze pubbliche, difficilmente definibili nel giro di pochi mesi. Sarà cosi per le ulteriori assunzioni di personale amministrativo e di magistrati, per la riapertura dei Tribunali minori e l’immediata implementazione del processo telematico anche nel settore penale, e soprattutto per realizzare l’ambizione di una giustizia «tempestiva», con una forte riduzione della durata dei procedimenti. A questo punto potrebbe farsi strada un’altra tentazione: rifugiarsi in provvedimenti “a costo zero” in materia penale, ritenuti più a portata di mano, che finirebbero per abbattere garanzie e principi di ragionevolezza. Alcuni sono di marca leghista più che pentastellata. A cominciare da quel divieto di ricorso ai riti alternativi per i reati che prevedono la pena dell’ergastolo, modifica che nella scorsa legislatura era diventata la “legge Molteni”, dal nome del plenipotenziario di Matteo Salvini sulla giustizia. Ecco: difficile che agli stessi magistrati possa risultare gradito un simile stravolgimento del sistema. Ne verrebbe unallungamento dei tempi in non pochi procedimenti, oltre che un deficit nell’esercizio della giurisdizione. Così come i presunti patri putativi della giustizia pentastellata, cioè i pm, potrebbero non essere entusiasti di diverse misure di contrasto alla corruzione ( e non solo): dal nuovo aumento delle pene, già innalzate nella scorsa legislatura, a quel “daspo” contro i corrotti a forte rischio incostituzionalità; dall’agente provocatore, che piace solo a Davigo, alla «rivisitazione sistematica e organica di tutte le misure premiali» promessa in materia penitenziaria, fino all’addio a quel po’ di interventi deflattivi in campo penale come la norma sull’archiviazione per tenuità del fatto. Ipotesi che appunto non susciterebbero il plauso di giudici e pm e che sono ritenute quasi tutte inadeguate dall’avvocatura. Ecco perché presto Bonafede potrebbe passare dai propositi spesso bellicosi del “contratto” all’unica strada che può evitare l’isolamento del governo sulla giustizia: il dialogo con gli operatori del diritto. Innanzitutto avvocati e magistrati, appunto. Dialogo dal quale potrebbero venire sorprese sul quel dossier giustizia di cui ora si parla poco, tanto si dà per scontata l’attuazione delle misure più draconiane finite in quel programma.