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È ristretto alla sezione AS3 del carcere milanese di Opera. Indossa, ventiquattro ore su ventiquattro, una sorta di casco per evitare che si faccia male durante i suoi frequenti e fortissimi attacchi di epilessia, talmente violenti che alcune volte è stato soccorso con un massaggio cardiaco. Parliamo di Ezio Prinno, un 42enne napoletano, con una lunga carcerazione dietro le spalle, prima per associazione mafiosa, poi per associazione finalizzata allo spaccio. «Non mi interessano gli sconti di pena – spiega disperatamente la madre Carmela Stefanoni -, chiedo solo che mio figlio abbia una carcerazione dignitosa. Le sue condizioni di salute si aggravano sempre di più, mese dopo mese. Fatelo avvicinare a Napoli, consentiteci almeno di poterlo assistere in maniera adeguata». Il difensore del detenuto, l’avvocato del foro di Milano Giampiero Verrengia, spiega a Il Dubbio che l’indicazione medica dell’utilizzo del casco nasce come soluzione nell’ottobre del 2014 quando era recluso in un altro carcere e poi messa in pratica dal 2016. «Questa indicazione – sottolinea l’avvocato – scaturisce dopo che un perito medico certificò che Ezio Prinno è compatibile con la detenzione, ma deve stare in una cella priva di spigoli e vicino alla famiglia». In mancanza di queste condizioni, quindi, come alternativa è stato consigliato l’utilizzo obbligatorio del casco. Il discorso della vicinanza risulta di vitale importanza soprattutto per evitare l’utilizzo di questo metodo contenitivo, perché la crisi epilettica violenta è legata a una nevrosi. Questa patologia psichiatrica si attenuerebbe, appunto, con la vicinanza familiare. «Curata la nevrosi – spiega l’avvocato Verrengia -, lui avrebbe solo sporadiche crisi epilettiche».
Ma è normale che porti un casco 24 ore su 24? L’avvocato risponde che la Corte Europea dei diritti umani ha una posizione chiara: sono le condizioni di detenzione che devono adeguarsi al detenuto, non viceversa. Parliamo di una cella non compatibile con la sua malattia, il suo compagno di camera gli fa da piantone e deve dare l’allarme appena ha le convulsioni. «Inoltre – sottolinea sempre l’avvocato -, il signor Prinno non se la sente di uscire durante l’ora d’aria, si sente in condizioni non umane, si vergogna nel farsi vedere con questo casco e, soprattutto, si sente umiliato quando si ritrova sporco di urina dopo essersi ripreso dai violenti attacchi epilettici». In pratica, il detenuto si sente a disagio e così non vive la socialità per evitare umiliazioni. L’epilessia e la sua nevrosi, non sono l’unica patologia. Recentemente si è operato a due ernie al disco e ha una cardiopatia in seguito a un duplice infarto e ipoglicemia.
L’ultima istanza presentata dall’avvocato alla magistratura di sorveglianza riguarda la richiesta di differimento pena con l’eventuale applicazione, nel caso lo ritenessero adeguato, della detenzione domiciliare per infermità fisica. La magistratura ha però rigettato perché gli atti medici che ha a disposizione prevedono che lui è compatibile con il carcere. Però, come già detto, parliamo di una compatibilità stabilita attraverso un adeguamento del detenuto – si pensi all’utilizzo h24 del casco - alle condizioni del carcere e non viceversa come la Cedu stabilisce. «Per contestare questa documentazione medica – spiega l’avvocato Verrengia – si dovrebbe accedere d una perizia di parte che è molto costosa, quindi limitante per il detenuto che non ha disponibilità economica per poter usufruire di questo consulto medico non solo relativo alle patologie fisiche, ma anche di tipo psichiatrico». Una situazione, quindi, che sembrerebbe ravvisare una vera e propria lesione dei dritti basilari enunciati dall’articolo 27 della Costituzione, così come quelli cristallizzati dalle pronunce della Corte Europea dei diritti umani. Ma cosa chiede la madre di Ezio Prinno? «Io, da madre, - spiega Carmela Stefanoni -, credo che neanche un cane vada trattato in questo modo. Il carcere deve essere rieducazione, non tortura. Chiedo soltanto che mio figlio venga trasferito in un’altra struttura più adeguata alle sue condizioni di salute e soprattutto vicino casa. La mia speranza – conclude - è che chi di dovere prenda delle buone decisioni in tal senso».