Quei ristoranti nel cuore di Roma non erano roba della ‘ ndrangheta. È quanto hanno stabilito quattro anni dopo il sequestro i giudici della quarta sezione penale del tribunale di Roma, che ieri hanno assolto i nove imputati accusati di intestazione fittizia di beni, perché «il fatto non sussiste». Una sentenza che ha dunque portato anche al dissequestro e alla restituzione ai proprietari dei tre ristoranti in via dei Pastini, zona Pantheon, meta di turisti da ogni dove: “Er Faciolaro”, “Rotonda” e “Barroccio”. Beni del valore di 10 milioni di euro, sequestrati nel 2015 su richiesta del pm Francesco Minisci nel corso di un’operazione della Dia sulle infiltrazioni della ‘ ndrangheta a Roma, e che per l’accusa erano tutti in mano ad un prestanome della ‘ ndrangheta, l’imprenditore calabrese Salvatore Lania.

Il suo nome era già emerso nell’indagine che aveva portato al sequestro e alla successiva confisca del “Caffè de Paris” - finito al centro di un’indagine sulle infiltrazioni nella capitale della cosca calabrese Alvaro di Sinopoli nel luglio 2009 - per una vicenda legata ad un traffico di merce contraffatta, in un vorticoso giro che partiva dalla Cina e dal Vietnam, dove veniva lavorata, per poi arrivare in Calabria, al porto di Gioia Tauro. Da lì ripartiva alla volta di Roma, dove veniva stoccata e poi spedita nella Repubblica Ceca. Un processo che, nel luglio del 2014, si è chiuso con l’assoluzione di tutti gli imputati, ma che per Lania è andato avanti, sottotraccia: i riflettori dell’antimafia gli sono rimasti puntati addosso, fino all’arresto, quattro anni fa, con l’accusa d’intestazione fittizia.

Arrivato a Roma nel 1999, Lania è partito da zero, facendo il pizzaiolo e il cameriere, una gavetta che lo ha portato però a conquistarsi un angolo importante al centro di Roma. Il ristorante ' Er Faciolaro', documentava l’inchiesta, è stato comprato per 300 mila euro, le mura per oltre due milioni, ' La Rotonda' fu acquistato dai cinesi nel 2004. Operazioni costose dietro le quali, secondo l’accusa, ci sarebbero stati gli interessi della ‘ ndrangheta. Anche perché, fino al 2011, il reddito dichiarato era pari a zero. Lania - difeso dagli avvocati Irma Conti e Alessandro Cassiani - per gli inquirenti era «il dominus di tutta l'operazione, che - si legge nell'ordinanza - attraverso una serie di complesse vicende societarie e un reticolo di operazioni finanziarie, facendo ricorso a prestiti personali e a mutui ipotecari, utilizzando spesso denaro contante e con molteplici operazioni bancarie spesso illogiche, acquisiva beni mobili e immobili, aziende e società, intestandone in modo fittizio le quote di capitali sociali a soggetti prestanome, legati allo stesso da vincolo di parentela ( come la moglie, Marilena Tersigni, ndr) o in quanto dipendenti dallo stesso ( come l'egiziano Abdel Meguid Amro e l'ucraina Mariya Danylchuck, difesi da Francesco Bianchi, ndr)» che nei suoi ristoranti facevano i camerieri. Salvatore Lania, scriveva ancora il gip Gaspare Sturzo, «nell’aprile 2012 attribuiva fittiziamente a Carmela Lania ( sua sorella, ndr), Leo Versace ( cognato, ndr) e Gianfranco Romeo ( ritenuto socio occulto di Lania, tutti difesi dall’avvocato Giovanna Gallo, ndr) titolarità e gestione della società ' Ristorante Pizzeria Faciolaro”», mentre nel settembre 2013, «attribuiva fittiziamente» ad Amro e Danylchuck «titolarità e gestione della Suriaca srl e del ristorante Er Faciolaro». Una storia smentita, ora, dai giudici. A insospettire gli inquirenti erano state anche le tempistiche: Versace, Romeo e Lania hanno infatti acquisito le quote di gestione del ristorante “Er Faciolaro” durante il processo per la merce contraffatta, stesso periodo in cui Lania aveva acquisito la proprietà delle mure e della licenza di ristorazione dalla società “Fiorenza”, stipulando con la sorella e gli altri due soci un contratto d’affitto d’azienda, identico al pacchetto acquistato dai precedenti proprietari. Secondo la procura antimafia, però, quel contratto rappresenterebbe proprio il tentativo, da parte dell’imprenditore calabrese, di evitare misure di prevenzione durante il processo. Un’ipotesi portata avanti nonostante l’imprenditore, nello stesso periodo, sia rimasto titolare del ristorante “La Rotonda”, acquisendo, inoltre, le quote del “Barroccio”. Durante il processo per intestazione fittizia, l’avvocato Gallo ha inoltre documentato la provenienza dei soldi con i quali Versace, Romeo e Lania hanno acquistato le quote di gestione, poi cedute. E ora a dar loro ragione c’è una sentenza, le cui motivazioni verranno rese note nel giro di qualche mese. I beni, in condizioni finanziarie precarie dopo quattro anni di amministrazione giudiziaria, tornano ora ai proprietari «con ampia soddisfazione» degli avvocati Conti e Gallo - si legge in una nota - alla luce «dell’insussistenza dell’ipotesi accusatoria che è stata oggetto di attenzione mediatica».