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Il punto è Davigo. Resta al Csm? Resta consigliere e quindi giudice disciplinare di Palamara anche dopo il 20 ottobre, giorno in cui compirà 70 anni e si congederà dalla magistratura? L’incognita ha indotto Palazzo dei Marescialli a una forsennata accelerazione sul procedimento a carico dell’ex leader Anm: sentenza il 16 ottobre anziché, com’era stato previsto, a dicembre. Pur di non sciogliere ora il nodo sulla permanenza in Consiglio dell’ex pm del Pool, il collegio disciplinare si espone al rischio di un clamoroso flop. Vale a dire di una corsa così sfrenata da lasciare la sentenza sotto la scure dell’impugnazione e addirittura di un annullamento. Il pg Giovanni Salvi ha prefigurato la sanzione più severa, l’espulsione di Palamara dall’ordine giudiziario. Plausibile o meno che sia l’ipotesi, già il modo in cui si pensa di arrivarvi pare claudicante. Alla difesa di Palamara potrebbe bastare un ricorso alle sezioni unite della Suprema corte. E se pure andasse male, difficilmente la Corte europea dei Diritti umani potrebbe ignorare le doglianze all’incolpato.
Il ritmo che martedì sera la sezione disciplinare ha deciso di imprimere al calendario è «sorprendente», per usare un aggettivo di Stefano Giaime Guizzi, il magistrato di Cassazione che difende Palamara nel “processo” al Csm. Con l’ordinanza dell’altro giorno (emessa insieme con quelle di rigetto di varie eccezioni degli incolpati) il collegio ha fissato 11 udienze in 20 giorni lavorativi. Si riprende domani, si va avanti il 23, 28, 29 e 30 settembre, poi tour de force a ottobre fino alla sentenza fissata per il 16. Procedimenti a carico degli altri cinque incolpati (tutti togati che si sono dimessi dall’attuale consiliatura) posticipati a partire dal 23 ottobre. Tutto per lasciare campo libero al solo “disciplinare” di Palamara. Occupata ogni possibile casella del calendario per la quale Guizzi non avesse già preannunciato impedimenti. Gli capitasse da preparare un appunto per il presidente della sua sezione al Palazzaccio (la terza penale), dovrà lavorare di notte. Ma le 11 udienze in 20 giorni potrebbero non bastare: Palamara già a luglio aveva chiesto di sentire 133 testi. «Non vogliamo affatto la Norimberga della magistratura», spiega Guizzi, «c’è bisogno di un approfondimento probatorio intenso perché solo così si può verificare non solo se vi siano state le interferenze addebitate a Palamara, ma anche quale sia stata la loro eventuale gravità». La logica del magistrato che difende il pm romano è semplice: «Come per tutti gli organi costituzionali, anche nel caso del Csm la disciplina sul suo funzionamento è piuttosto rarefatta. Ci si deve basare sulle consuetudini. E solo se si ricostruiscono le prassi, non solo della consiliatura in corso ma anche di alcune delle precedenti, si può stabilire se le condotte del dottor Palamara siano state effettivamente devianti. O se si inseriscano invece nel solco di prassi consolidate».
Chiarissimo. Ora, poniamo pure che domani, quando il collegio disciplinare si riunirà di nuovo, la lista testi venga tagliata, Guizzi si chiede «fino a che punto sia legittima una riduzione». Se, pur di arrivare, costi quel che costi, a sentenza il 16 ottobre, si esagera, è evidente che si lascerebbe alla difesa di Palamara un materiale fantastico per una successiva impugnazione della condanna. Ricorso facile facile alle sezioni unite o, in extrema ratio, alla Cedu. E nei gradi di giudizio superiori, la tesi dell’inderogabile necessità, per la difesa, di un approfondimento dibattimentale più ampio troverebbe probabilmente ascolto. Così, pur di evitare che una presenza di Davigo nel collegio disciplinare anche successiva al suo congedo dalla magistratura offra motivo per eccepire la nullità del giudizio, si rischia di veder impugnata la sentenza per la compressione dei diritti di difesa. Un’astensione dell’ex pm del pool avrebbe risolto tutto. Ma non c’è stata, nonostante Palamara la reclamasse. Già se si fosse certi dell’imminente uscita di Davigo dal Csm, la prospettiva sarebbe meno indecifrabile. Ma di certezze in merito non se ne hanno, se non rispetto alla determinazione del consigliere nel reclamare il proprio diritto a restare in carica (come riferito in altro servizio del giornale, ndr). Certo è paradossale che un enigma legato al più intransigente dei magistrati possa pregiudicare il processo nei confronti del collega che, per gli amanti dei capri espiatori, incarna tutte le possibili deviazioni dell’ordine giudiziario.