Difficile credere che un dibattito sulla giustizia possa reggersi sul pregiudizio. Eppure nel caso della prescrizione forse è così. E non è difficile comprendere il motivo: la prescrizione è la sublimazione ultima dell’identità dei 5 Stelle. Nati dall’insofferenza nei confronti della cosiddetta casta, dal sogno di sbarazzarsene, e perciò persuasi dall’idea che l’estinzione del reato possa essere travisata nello scudo dei potenti per mano dei loro abili difensori. Una leggenda, che pure si è fatta strada nell’immaginario collettivo. E che a volte trova traduzioni sorprendenti nelle analisi di pur apprezzati operatori della giustizia.

L’esempio è offerto dall’audizione svolta due giorni fa nella commissione Giustizia della Camera che, sulla proposta di abrogare la “nuova” prescrizione, ha invitato a esprimersi un magistrato e un avvocato. Più precisamente il sostituto procuratore di Verona Valeria Ardito e la figura che rappresenta l’intera avvocatura italiana, il presidente del Cnf Andrea Mascherin. Ebbene, la magistrata ha introdotto il proprio intervento con un’analisi secondo cui abolire la prescrizione dopo il primo grado favorirebbe un’accelerazione della macchina penale.

«Ci sono casi in cui l’impugnazione viene proposta al solo fine di raggiungere la prescrizione, com’è desumibile dalla forma stessa in cui viene redatta, condensata in poche generiche righe». Il presidente del Cnf ha ascoltato con pazienza. Poi, al momento di intervenire, ha ribaltato quel paradosso: «Un po’ invidio il sostituto procuratore di Verona, che ci ha spiegato in poche battute come si comporta un difensore. Lo ha fatto con imprecisione e sfumature persino offensive. Non ambisco a fare lo stesso», ha aggiunto, «non saprei spiegare come si fa il pm. Ma so che il 70 per cento delle prescrizioni interviene nel corso della fase preliminare», ha proseguito rivolto direttamente alla dottoressa Ardito, «ossia quando a lavorare siete solo voi e l’avvocato non c’entra nulla».

La difficoltà, con un tema simile, è anche che l’ordalia mediatica sbriciola il nocciolo della verità sostanziale. Mascherin lo ha ricordato ai deputati della commissione Giustizia quando ha fatto notare che «la modifica alla prescrizione prevista dalla norma approvata un anno fa interviene senza che si sia ancora avuto modo di verificare gli effetti della riforma Orlando. Una revisione che ha innalzato i termini prescrizionali di alcuni reati a 30 o 40 anni». Di cosa si parla, dunque, chiede implicitamente il presidente del Cnf, quando si indica nelle impugnazioni pretestuose la causa della prescrizione dei reati, se in realtà «a voler considerare le statistiche nazionali, il 48 per cento delle sentenze viene riformato in secondo grado?». E non è che «dal punto di vista del cittadino interessi solo se una condanna viene ribaltata in assoluzione: fa un’enorme differenza, dal suo punto di vista, se la pena detentiva viene ridotta o se si riduce a una multa». Altro che impugnazioni dilatorie.

Dopodiché Mascherin ha ricordato un particolare non trascurabile: «Il processo è giusto se ha una ragionevole durata». Il secondo dei due principi è coessenziale al primo, perché essere sottoposti allo stillicidio di un procedimento dalla durata decennale è di per sé una pena, evidentemente ingiusta. Così il vertice dell’istituzione forense prima ricorda che del processo «si deve preservare, prima dell’efficacia, l’effettività del diritto di difesa», poi aggiunge: «È evidente come nessuno si auguri che un processo abbia una durata indeterminata. E sono sicuro che anche il ministro della Giustizia Bonafede e il suo partito non abbiano alcuna intenzione di renderlo infinito.

Eppure è con la norma che dopo la sentenza di primo grado interrompe il decorso della prescrizione, a profilarsi il rischio di un processo infinito. Quanto meno in mancanza di un condivisibilissimo intervento sui tempi, preventivato come necessario dallo stesso guardasigilli». E qui interviene il giudizio politico, ma innanzitutto tecnico- giuridico, proposto dal presidente del Cnf ai deputati: «Contrarietà alla proposta Bonafede in mancanza di una controprova che, dopo la riforma, i tempi del processo possano ridursi». Non è casuale l’espressione «controprova». Perché poco dopo Mascherin la declina con la forma alternativa di «studio d’impatto». Ne servirebbe uno serio, dice: «Andrebbe verificato per un anno o un anno e mezzo l’effetto apportato da una riforma del processo penale alla durata dei giudizi: potremmo renderci conto che un intervento sulla prescrizione non serve più».

Ma al di là degli esiti, conta il metodo. È il senso dell’audizione, voluta dai componenti della commissione Giustizia per valutare meglio la proposta dell’azzurro Enrico Costa, semplicemente abrogativa del blocca- prescrizione. Il metodo, come dice Mascherin, è la verifica concreta, scientifica. Non l’ipotesi irreale di un’avvocatura che propone impugnazioni per passare sotto lo striscione del reato prescritto. È solo la verifica concreta che può dire, senza equivoci, se una riforma funziona davvero.