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Pittella
«Sulla giustizia, tutta la politica è ostaggio. Il Pd? Serve uno slancio in termini di garantismo. Il vecchio partito socialista lo era, così come la Dc. Il Pd è tiepido. Alcune aree sono garantiste, altre meno. Pur non essendo il partito giustizialista di un tempo, subisce l'influenza del M5S». A parlare è Marcello Pittella, ex governatore della Basilicata, che in un'intervista al Giornale racconta il suo calvario giudiziario dopo l'assoluzione di qualche giorno fa. A stabilire l'innocenza di Pittella è stato il Tribunale di Matera, che lo ha assolto nell’ambito del processo “Sanitopoli”, dal nome dell’inchiesta che nel 2018 gli costò 87 giorni di arresti domiciliari e poi le dimissioni da governatore. Da lì le elezioni del 2019, che il politico del Partito democratico perse contro il candidato di centrodestra, Vito Bardi. Ma, soprattutto, la gogna mediatica e politica, il cui peso era evidente nelle lacrime lasciate scorrere dall'ex governatore dopo la pronuncia dei giudici. Ora Pittella si dichiara vittima del fango di Travaglio e ritiene che il Pd non debba più subire la linea giustizialista del M5s. «Travaglio? Avrei gradito che avesse titolato la prima pagina del suo giornale chiedendomi scusa, essendo stato il primo a puntarmi il dito contro e avendo utilizzato il suo bazooka verso di me, la mia famiglia e i miei affetti. Ci vuole coraggio anche in questo. L'Italia rischia di essere un Paese non civile». Come firmatario dei referendum per cambiare la giustizia, Pittella ribadisce che «sul piano dei diritti una società civile che tutela la libertà deve procedere verso una riforma che contrasti il linciaggio mediatico e la pubblicazione delle carte prima che l'interessato ne sia a conoscenza - dice - che garantisca lo sdoppiamento delle carriere e la responsabilità dei magistrati e, infine, che normi il rapporto tra comunicazione e magistratura garantendo sempre e comunque il diritto alla privacy. Occorre, insomma, una giustizia più giusta e umana perché si consumano vicende sulla pelle della gente». «Sono stato tre anni e mezzo a combattere per affermare la mia estraneità - prosegue - e l'ho fatto con le armi della giustizia. Sono rimasto in silenzio perché mi sono reso conto che iI linciaggio mediatico era tale che ogni volta che alzavo iI dito o prendevo la parola, pur essendo il più votato in Basilicata, venivo additato e sbeffeggiato. Non volevano che parlassi perché ero ancora sotto giudizio».