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Piero Calabrò, fino al 2015 giudice al Tribunale di Lecco, è fra gli ideatori del “Progetto Legalità Brianza”, un’iniziativa realizzata con l’associazione “Bang” che ha lo scopo di promuovere la cultura della legalità, della solidarietà e dell’ambiente, basata sui principi della Costituzione.
Noto al grande pubblico per la sue presenze televisive in qualità di opinionista sportivo, tifosissimo della Juventus, Calabrò ha fondato nel 1994 la squadra di calcio Nazionale Italiana Magistrati di cui è il capitano. Nei suoi 36 anni in magistratura, prima di andare in pensione, si è occupato in particolare dell’anatocismo bancario. A lui si deve, nel 1999, la prima sentenza che condannava le banche che effettuavano questa pratica in danno dei risparmiatori.
Dottor Calabrò, ci parli del suo impegno nel sociale.
L’idea del Progetto Legalità è nata dalla necessità di allargare il dibattito sui temi del rispetto delle regole ad una più vasta platea che non fosse solo composta da addetti ai lavori. Ai nostri incontri partecipano studenti, pensionati, professionisti, tutte le sfaccettature della società civile. Abbiamo un pubblico molto trasversale.
Quali sono i prossimi impegni?
Il 19 gennaio avremo ospite, al teatro San Luigi di Concorezzo, in provincia di Monza, il presidente del Senato Pietro Grasso che parlerà di lotta alla mafia. Lo scorso anno sono stati nostri ospiti Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Raffaele Cantone, che hanno raccontato le loro esperienze pro- fessionali.
Non correte il rischio di essere accusati di essere poco garantisti?
Non direi. Gli incontri sono colloquiali, c’è il dibattito con il pubblico, vogliamo creare un contatto diretto con i protagonisti senza la pretesa di avere delle risposte precostituite.
Che opinione ha del modo in cui la società italiana si rapporta a questi temi?
L’Italia è diventato un Paese distratto. Manca quasi completamente l’impegno civile. Un tempo esistevano i partiti che avevano delle solide basi ideologiche. Esisteva un confronto sui contenuti. Adesso è finito tutto.
In che senso?
Ora chiunque con estrema facilità si alza la mattina e si propone come leader. Senza però avere la benché minima cultura ed esperienza politica. Non c’è più bisogno dei partiti. E’ sufficiente essere in grado di bucare la schermo ed il successo è assicurato. Anche se non si ha nulla da dire. Ricordo che la nostra Costituzione prevede i partiti politici proprio quali soggetti protagonisti del dibattito all’interno della società civile.
Sembra che stia facendo il ritratto dei 5Stelle. Un movimento che della legalità ha fatto la bandiera.
Su questo mi permetto di dissentire, visto che fra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare. Per i 5Stelle prima era prevista l’incandidabilità per chi fosse stato raggiunto da un avviso di garanzia. Poi si passati al rinvio al giudizio. Adesso per la vicenda penale del sindaco di Roma Virginia Raggi la soglia si è spostata alla sentenza di primo grado. Fra qualche tempo credo che i 5Stelle diranno che bisognerà attendere il giudizio della Corte di Strasburgo prima di escludere qualche aderente.
I giovani sono i primi ad essersi allontanati dalla partecipazione attiva alla politica. Concorda?
Con le nostre iniziative cerchiamo invece di coinvolgerne molti nel dibattito. I nostri incontri sono trasmessi in streaming e facciamo largo uso dei social. Tutti strumenti utilizzati dai ragazzi. Bisogna che le giovani generazioni siano più presenti sui grandi temi etici, politici e sociali.
Con il suo progetto sulla legalità e sul rispetto delle regole possiamo dire che riempie un vuoto? Non sono attività che dovrebbe svolgere il Consiglio superiore della magistratura o, soprattutto, l’Associazione nazionale magistrati?
Certamente. Ma l’Anm non è più il luogo in cui ci si confronta su questi temi. Nell’Anm il dibattito è ormai incentrato solo sui temi sindacali...
... e sulle nomine?
Si. La discussione è solo sugli incarichi e le correnti della magistratura si occupano esclusivamente di questo. I magistrati sono ormai assuefatti a questo sistema. Oggi molti di loro svolgono la propria attività in maniera burocratica, pur fruendo dei privilegi della categoria, senza avere una visione di ampio respiro sui principi e, di fatto, allontanandosi da quelli che sono i problemi del cittadino. E’ necessario un cambio di rotta.