Constatazione della piena maturità raggiunta da numerosi garanti locali e volontà di investire in termini di prevenzione affinché la detenzione non sfoci in trattamenti inumani e degradanti fino a svilupparsi in situazioni che un ordinamento civile non può tollerare. Utilizzo linguistico appropriato, ovvero nominare bene le cose: ad esempio chiamare tortura i comportamenti che si ascrivono a tale crimine. Attenzione all’identità del migrante e creare standard da rispettare, diretto a culture avanzate, tese a un diritto inclusivo capace di prevenire i conflitti. Queste sono state le premesse illustrate da Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, durante la presentazione della sua relazione annuale a Montecitorio.

MATTARELLA, BOLDRINI E ORLANDO

Molto sentito l’indirizzo di saluto della presidente della Camera Laura Boldrini: «Le carceri sono lo specchio del livello di civiltà di un Paese e occuparsi di chi vive nelle carceri non vuol dire essere indulgenti, o come qualcuno direbbe usando una parola odiosa, “buonisti”. È interesse della collettività occuparsi dei detenuti perché possano uscire dal carcere persone migliori». Un concetto ribadito anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo messaggio al Garante: «L’odierna giornata rappresenta un’utile occasione per la verifica del lavoro svolto, particolarmente impegnativa nella prospettiva di individuare gli strumenti e le modalità attraverso cui assicurare la piena realizzazione dei principi sulla pena affermati dall’articolo 27 della Costituzione. È la carta fondamentale a sancire che la pena, nel rispetto della dignità e dei diritti fondamentali dell’uomo, deve favorire il reinserimento sociale di chi ha sbagliato e lo Stato ha il compito di offrire una occasione di recupero attraverso l’impegnativo percorso di rieducazione». Mattarella conclude: «Al Garante nazionale spetta di vigilare affinché sia pieno il rispetto dei diritti fondamentali del detenuto e di promuovere le attività utili al suo reinserimento nella società. Si tratta di una funzione delicata e complessa cui lo Stato deve dedicare attenzione reale ed impegno concreta». Interessante anche il messaggio del ministro della Giustizia Andrea Orlando che pone l’attenzione alla affettività e alla vicinanza del recluso ai suoi affetti. Il ministro auspica «la necessità di un’attività di lavoro qualificante che consenta al detenuto di restituire alla società quello che ha tolto col crimine» e ribadisce «l’immutata volontà di consegnare al paese un sistema penale finalmente diverso e più giusto».

TREND IN LEGGERO AUMENTO

Mauro Palma spiega che grazie alla sentenza Torreggiani della Corte Europa, diverse misure sono state prese per fronteggiare il problema del sovraffollamento e della condizione degradante degli istituti penitenziari. Sicuramente c’è stato un maggiore accesso alle misure alternative, però permane la distanza tra posti realmente disponibili e il numero dei detenuti. Se nel 2013, alla data della sentenza Torreggiani, le persone detenute superavano le 62mila unità ( 62.536), negli anni successivi si è andati verso un progressivo decongestionamento degli Istituti: 53.623 nel 2014 e 52.164 nel 2015. Nel 2016 tuttavia – spiega il Garante nazionale - questo trend si è modificato con un leggero aumento delle presenze, che al 31 dicembre erano pari a 54.653 e alla data del 14 febbraio 2017 sono 55.713, dunque con un incremento di oltre 1000 unità. Se si confrontano le presenze a fine gennaio 2016 e a fine gennaio 2017 si registra un aumento del 6,2%. Il tasso di detenzione ( numero di detenuti presenti a data fissa rispetto alla popolazione nazionale che Eurostat quantifica nel 2016 in 60.665.551) al 14 febbraio 2017 è 92 ( per centomila abitanti), inferiore a quanto raggiunto in anni passati – per esempio nel 2010 quando era 112 - ma pur sempre in lieve aumento, anche se entro quel valore 100 che rappresenta la media dei Paesi dell’Europa occidentale. In tema di sovraffollamento i dati sono ancora distanti dall’essere soddisfacenti e, spesso, le sezioni più affollate sono quelle femminili.

Detenzione pensata

“DONNE INVISIBILI” Le donne rappresentano una piccola percentuale della popolazione detenuta: al 31 gennaio erano 2.338 su un totale di 55.381 detenuti, cioè solo il 4,2%. «In questo caso, ha sottolineato Palma, i piccoli numeri rappresentano un elemento penalizzante». La detenzione è da sempre «pensata al maschile e applicata alle donne che rischiano di diventare invisibili e insignificanti per il sistema penale» . Gli istituti penitenziari femminili sono, infatti, solo quattro: Trani, Pozzuoli, Rebibbia e Venezia- Giudecca, con una capienza di 537 posti e una presenza di 589 donne. Le altre 1.794 sono distribuire nei 46 reparti femminili all’interno degli istituti maschili, dove «rischiano di avere meno spazio vitale, meno locali comuni, meno strutture» e meno opportunità formative rispetto agli uomini. Pochi istituti femminili, osserva il Garante, significa inoltre «violazione di fatto del principio di territorialità della pena».

LUOGO DI SOFFERENZA AGGIUNTIVA

Il carcere, spiega ancora il Garante, oltre la privazione della libertà, diventa troppo spesso un luogo di sofferenza aggiuntiva. C’è l’infantilizzazione della persona ristretta, l’impatto dei minori con i congiunti reclusi e percezione di una realtà espropriativa degli affetti. A proposito dell’infantilizzazione, Mauro Palma si concentra sul linguaggio: l’istanza per l’ottenimento di un permesso premio o di una misura alternativa viene comunemente chiamato “domandina”, termine che esprime uno scarso rispetto per l’uomo o per la donna che inoltrano l’istanza, e un senso di svalutazione della richiesta stessa ( dalla quale talvolta dipende la libertà della persona) definita con un diminutivo quasi si tratti di un capriccio. Il Garante fa notare che alla “domandina” non corrisponde una “rispostina” perché nessuno oserebbe definire in tal modo la decisione del direttore, né tantomeno del magistrato o del Tribunale di sorveglianza. E anpresenti cora ' spesino', ' scopino', ' rattoppino', e poi ancora ' mercede', ' lavorante' o ' sopravvitto': sono termini del ' linguaggio penitenziario', una lingua estranea al mondo esterno che ' contribuisce a rendere più difficile il percorso di reinserimento delle persone'. Non si tratta di un gergo delle persone detenute, ma di parole normalmente utilizzate dagli operatori penitenziari ( direttori, funzionari, psicologi, polizia penitenziaria) e dalla magistratura di sorveglianza. Ma il linguaggio è solo una delle manifestazioni della tendenza ad attivare processi di infantilizzazione nelle persone detenute. Il modello di una pena responsabilizzante - spiega il Garante - sembra essere prerogativa esclusiva di alcuni Istituti. Negli altri vige al contrario un sistema teso a privare le persone della capacità e del diritto a decidere, a gestire la quotidianità, a circolare nell’Istituto senza essere accompagnati anche per spostamenti minimi, a partecipare all’organizzazione della vita comunitaria, a essere coinvolti in maniera attiva alla vita dell’Istituto.

I DUE MONDI DELL’ALTA E MEDIA SICUREZZA

Il Garante poi punta il dito contro la particolare distanza nei regimi dell’esecuzione della pena che si riscontra tra le sezioni di “alta sicurezza” e quelle di “media sicurezza” in termini di tutela del diritto a ricevere il trattamento rieducativo in pari misura, da assicurare comunque a ogni detenuto perché, come ricorda la Corte costituzionale sussiste un «obbligo tassativo per il legislatore di tenere non solo le finalità rieducative della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a garantirle». Il Garante Nazionale durante le visite effettuate nelle sezioni di “alta sicurezza” ha avuto modo di verificare che in alcune situazioni si sta offrendo alle persone detenute così classificate attività trattamentali significative, rompendo la barriera che le divide dai detenuti comuni. Al contrario in altre situazioni la differenza tra la quotidianità detentiva in tali sezioni e quella realizzata in sezioni di “media sicurezza” determina quasi due “mondi” diversi e rispondenti a logiche distanti, che difficilmente possono apparire a un osservatore esterno come rispondenti allo stesso principio costituzionale.

NUOVE NORME PER IL TSO

Mauro Palma ha espresso alcune raccomandazioni. Auspica che siano rese effettive le indagini sui presunti maltrattamenti a tutela anche di coloro che lavorano con onestà e abnegazione. Raccomanda la necessità di un codice identificativo degli agenti. E una modifica normativa per il trattamento sanitario obbligatorio e che ognuno di esso venga notificato anche al garante. Frontiera labile tra restrizione e privazione include anche le strutture dove le persone disabili o anziane entrano volontariamente che possono trasformarsi in luoghi di permanenza involontaria, ai Tso che in sé racchiudono la natura di detenzione coatta. Per questo il Garante auspica un approccio pluridisciplinare.