«I parametri certi del diritto e della realtà sfuggono alle maglie della giustizia milanese. Da nessun'altra parte in Italia si sarebbe verificata una cosa del genere, nella capitale morale d'Italia invece sì». Trentadue anni dopo l'omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia, un «irreparabile vizio procedurale» rischia di mandare al macero l'inchiesta che aveva portato ai presunti esecutori materiali del delitto. Un'inchiesta riaperta dai magistrati antimafia di Milano Ilda Boccassini e Marcello Tatangelo, che hanno analizzato gli esposti presentati dalla famiglia Caccia negli ultimi tre anni.Ma ora la famiglia e il suo legale, Fabio Repici, sono sconcertati. L'avvocato getta ombre inquietanti su quanto accaduto nella procura di Milano negli ultimi trent'anni nel tentativo, forse, di nascondere la verità. Sabato scorso, il pm Tatangelo ha comunicato l'inutilizzabilità di ogni atto d'indagine e processuale compiuto nei confronti di Rocco Schirripa, il panettiere originario di Gioiosa Ionica arrestato a dicembre come esecutore materiale del delitto. A compromettere il procedimento è la mancata richiesta di autorizzazione al gip per la riapertura delle indagini nei confronti di Schirripa, che era già stato indagato e archiviato nel 2001 per il delitto. Il pm ha così avanzato richiesta di scarcerazione, sulla quale il giudice si pronuncerà mercoledì prossimo. Una storia assurda che, secondo Repici, nasconderebbe diversi retroscena. «Il pm ha confessato una clamorosa negligenza, ovvero di non aver mai verificato se Schirripa fosse stato mai stato indagato nei precedenti decenni», ha spiegato.È stato lui, chiedendo l'acquisizione di alcuni verbali del pentito Vincenzo Pavia, a scoprire il corto circuito. Nel corso dell'udienza del 2 novembre scorso, infatti, Pavia, in aula, ha dichiarato di non essere mai stato sentito sul caso dai pm di Milano, ma solo da quelli di Torino. Repici ha quindi chiesto di verificare se i verbali fossero mai stati trasmessi a Milano. Ed è così che la procura ha scoperto del procedimento avviato nel 1996. Il pm, a dicembre 2015, avrebbe dovuto chiedere al gip l'autorizzazione per poter procedere con nuove indagini, richiesta che non è mai stata fatta. «Non posso credere che la procura di Milano abbia preso una cantonata che neppure l'ultimo pretore di periferia», commenta Repici con sconcerto.Mercoledì il giudice deciderà se questo processo è una pratica morta e sepolta oppure se c'è un appiglio al quale ancorarsi per andare avanti. «Ancora una volta, non avremo giustizia», dice Repici. Tormentato dal fatto che dietro questi intoppi grossolani possa esserci, ancora una volta, l'intento di affossare le indagini. «Escludo che Tatangelo fosse consapevole di questo vizio, altrimenti si sarebbe bruciato la carriera - commenta ora -. Sono convinto però che altri lo sapessero, che qualcuno abbia spinto Tatangelo contro questo muro. Ci sono dei dati oggettivi: nel '96, Pavia, nel rendere dichiarazioni sull'omicidio Caccia a Torino, ha spiegato che ci furono delle difficoltà per via della contiguità tra criminalità e magistratura. Per questo ho chiesto di quei verbali, scoprendo tutto questo».Chi ha nascosto la verità, dunque? «La squadra mobile di Torino, che ha condotto le indagini su Schirripa, avrà affatto accesso allo Sdi (sistema d'indagine, ndr) - spiega Repici -. Voglio sapere se risulta che fosse già stato aperto un fascicolo. O la polizia non lo ha detto al pm Tatangelo, ed è grave, o lo ha detto ed è peggio. Oppure non risulta allo Sdi. Qualcosa, però, deve essere successo». Schirripa era stato arrestato grazie ad un semplice biglietto anonimo e delle cimici. La Questura di Torino infilò nella buca delle lettere di tre persone, tra le quali Domenico Belfiore, condannato nel '93 quale mandante del delitto e ora ai domiciliari per motivi di salute, un articolo de La Stampa, risalente al giorno dell'agguato. Sul retro la scritta "Omicidio Caccia: se parlo andate tutti alle Vallette. Esecutori: Domenico Belfiore - Rocco Barca Schirippa. Mandanti Placido Barresi, Giuseppe Belfiore, Sasà Belfiore". I detective hanno "contaminato" i loro smartphone con virus in grado di attivare microfono e videocamera dei cellulari. Lo scorso autunno, pochi giorni dopo l'arrivo della lettera, Schirripa andò a casa di Domenico Belfiore a Chivasso. Con loro c'era anche il cognato di quest'ultimo, Placido Barresi. Dalle loro conversazioni, dunque, gli inquirenti sono arrivati ad incastrarli. Caccia venne ucciso il 26 giugno '83, alle 23, con 14 colpi di pistola, sparati da una 128 che lo attendeva vicino casa, ucciso per le sue indagini sugli interessi della criminalità organizzata nei casinò, dove i clan lavavano i soldi ricavati dai sequestri di persona. Secondo la Dda, Schirripa avrebbe sparato il colpo definitivo alla testa del procuratore capo.