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«Mercato e concorrenza regolano interessi economici che non possono mai far prevalere le loro logiche rispetto ai diritti inviolabili della libertà personale, pena il sovvertimento dei valori su cui si fonda il nostro patto sociale, così come delineato dalla Costituzione». È il principio richiamato nella lettera che il presidente dell’Unione Camere penali Beniamino Migliucci ha trasmesso due giorni fa al Capo dello Stato Sergio Mattarella. Un’esortazione affinché il presidente della Repubblica rinvii alle Camere il ddl concorrenza in modo che sia rivista la disciplina delle società di capitali inserita nel provvedimento, e applicabile anche agli studi legali. L’iniziativa segue quella assunta da Consiglio nazionale forense e Organismo congressuale forense, che lo scorso 3 agosto, il giorno dopo il via libera definitivo del Senato alla legge, avevano a loro volta trasmesso al Capo dello Stato una lunga lettera, in cui pure auspicavano un rinvio del testo al Parlamento.
È chiaro come la gran parte dell’avvocatura sia unita nel ritenere inaccettabili le “innovazioni” proposte sulle società professionali. Nella lunga nota di Cnf e Ocf si segnalava innanzitutto come l’ingresso di soci di capitale ponga le società tra avvocati «in una prospettiva nella quale gli interessi da difendere e il tempo dedicato alla difesa dipendono esclusivamente dalla redditività delle cause». E anche l’Unione Camere penali segnala i rischi che la presenza di meri soci investitori potrebbe creare. Lo fa con particolare attenzione al diritto dei difesa dei più deboli in ambito penale. Migliucci muove intanto dalla situazione «di grave crisi» in cui versa la professione forense, che già di per sé determina la «diminuzione del livello medio di preparazione» e «ogget- tive difficoltà economiche per molti professionisti». Condizioni, scrive il presidente dei penalisti, dalle quali «può derivare la perdita dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Avvocato, che costituiscono la prima garanzia, per l’assistito, di una corretta tutela, anche sotto il profilo deontologico». Se già è questa la situazione generale, con l’ingresso di meri soci investitori nelle società di avvocati si rischia di peggiorare il quadro. Migliucci ricorda ancora che «autonomia, indipendenza, preparazione, sono valori e garanzie su cui si fonda la funzione difensiva nell’interesse del cittadino che, in particolare in ambito penale, si trova da solo al cospetto della pretesa punitiva dello Stato, assistito unicamente dal proprio difensore». E una difesa competente e efficace è indicata dalla Costituzione come diritto «inviolabile» al pari dei «diritti di libertà». Se inviolabili, queste tutele non possono cedere il passo dinanzi alle esigenze del «mercato e della concorrenza». Perciò, osserva Migliucci nella nota inviata al Quirinale, «con difficoltà si riesce ad accettare che le norme regolatrici degli assetti professionali siano inserite nella legge su mercato e concorrenza». E a maggior ragione è difficile comprendere come il legislatore, «al cospetto di una funzione così importante per la tutela dei diritti, si prefigga il ‘ fine di garantire maggiore concorrenzialità nell’ambito della professione forense’, anziché quello di assicurare che la difesa sia effettiva, tecnicamente adeguata e non condizionata da interessi di carattere economico». La delega contenuta nella legge professionale, ricorda l’Ucpi, prevedeva «che solo gli iscritti all’albo potessero assumere la qualità di soci». E, ancora, che le stesse Camere penali avevano chiaramente espresso al governo l’opposizione «alla presenza di un socio di capitali, anche in condizioni minoritarie, perché tale presenza può finire col condizionare le scelte dei singoli professionisti, e questo non solo in contesti ambientali nei quali può essere più forte l’inquinamento economico della criminalità organizzata, ma anche in quelle situazioni nelle quali forti poteri economici decidano di investire in settori professionali di notevole rilievo sociale ( responsabilità medica, reati ambientali, reati economici) ». Con l’ingresso di «capitali di rischio» di soggetti estranei alla professione, si introdurrebbero dunque «logiche di mero profitto del tutto inconciliabili con i principi che devono ispirare l’esercizio della professione forense». E l’avvocato non può essere «parificato ad un mercante che, secondo logiche di profitto e concorrenza, sia interessato ad assistere solo chi gli garantisca il maggior profitto». Osservazioni che fanno, delle norme sulle società di capitale, uno tra i provvedimenti sulla professione più contestati da parte dell’avvocatura.