La Consulta interviene ancora una volta in favore del diritto del figlio minore del detenuto a non entrare in carcere e questa volta riconosce al padre, come già aveva fatto per la madre detenuta, il margine di non punibilità delle 12 ore di allontanamento, per il caso di detenzione ordinaria, al pari di quella speciale. Quest’ultima misura è concessa alle condannate, che abbiano espiato almeno un terzo della pena, o almeno 15 anni in caso di condanna all’ergastolo, madri di bambini di età inferiore ai anni dieci, di espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli. Misura che viene concessa anche al padre di bambini di età inferiore ad anni dieci con lui conviventi, quando la madre sia deceduta, o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli.

La ratio della decisione della Corte costituzionale è quella di dare la prevalenza ai bisogni del minore rispetto alle esigenze di sicurezza sociale, solo pretendo un margine di valutazione della pericolosità sociale a cui subordinare l’estensione. Con la sentenza 211 del 24 ottobre 2018, depositata il 22 novembre, la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art 47 ter comma 1 lett. b) e comma 8 dell’ordinamento penitenziario in relazione all’art 3 Cost, nella parte in cui la punibilità per il reato di evasione, di colui che stia eseguendo la misura della detenzione domiciliare ordinaria per cura della prole e si allontani dal domicilio, non è trattata dal punto di vista sanzionatorio come la detenzione speciale, che prevede il margine delle 12 ore di allontanamento.

E’ violato l’art 3 della Costituzione e la questione è stata ritenuta fondata perché è illegittimo per la Consulta punire più severamente la detenzione domiciliare ordinaria rispetto a quella speciale, in presenza della medesima ratio, ovvero garantire la cura dei figli minori, da parte del genitore detenuto, con accesso alle misure extra- murarie.

Infatti, le due misure prese in considerazione dalla sentenza riguardano in entrambi i casi, il diritto del padre, condannato, di prendersi cura del figlio minore: si tratta da un lato del caso in cui la madre sia deceduta o impossibilitata a dare assistenza - l’art 47ter comma 1 lett. b), cioè il caso in questione -, e dall’altro - art 47 sexies op - quello in cui la madre sia deceduta o non possa affidare la prole ad altri se non al padre. La Corte Costituzionale si affida ai principi di ragionevolezza ed uguaglianza per sostenere le sue motivazioni e osserva che sarebbe irragionevole prevedere la sanzione per l’evasione nel primo caso, indipendentemente dalla durata dell’allontanamento – che non tenga cioè conto anche delle incombenze del ruolo del padre come custode del figlio -, e stabilire invece un limite di 12 ore, oltre il quale subordinare la punibilità per il reato nel caso della detenzione speciale.

Peraltro già in una pronuncia di illegittimità ( sentenza n. 177/ 2009) , gli stessi motivi di ragionevolezza e uguaglianza avevano riguardato il caso della madre detenuta. E’ proprio nel ricordare questa pronuncia che la Corte, riconoscendo che la ratio delle misure, ordinaria e speciale - concesse alla madre o al padre - sia identica, approfitta per ribadire che “il medesimo ragionamento non può che essere esteso al raffronto del trattamento penale degli allontanamenti al domicilio dei detenuti padri”, in modo che una volta che egli sia ammesso al regime di tali misure, “non può che essergli applicato il medesimo regime previsto per la madre”.

E’ dunque di tutta evidenza che il punto di equilibrio nella scelta di questo più duttile trattamento sanzionatorio, verso il padre e la madre in detenzione domiciliare ordinaria per la cura del figlio, si trovi dunque nel contemperamento tra le esigenze di difesa sociale, da una parte, e la considerazione dei bisogni della prole minore dall’altra. Nella scelta di dare prevalenza alla seconda viene però imposta una verifica di non pericolosità sociale, vincolando la non punibilità alla prognosi favorevole in assenza di pericolosità sociale.