L’innovazione digitale ha cambiato il lavoro delle aziende, dei dipendenti ma anche degli avvocati, in particolare quello dei giuslavoristi. Per questo, ha spiegato il presidente di Agi, Aldo Bottini, gli avvocati devono occuparsi di tecnologia: «Un tema che ci riguarda direttamente, se non lo si affronta non si riescono a capire le dinamiche e si rischia anche di fare un cattivo servizio ai nostri clienti, dalle aziende ai lavoratori». Con questo obiettivo, l’Associazione giuslavoristi italiani - riunita nel suo convegno nazionale a Bologna - ha scelto come tema di discussione il “Lavoro 4.0”.

Sul fronte giuridico, i professori di Diritto del lavoro Fiorella Lunardon ( Torino) e Adalberto Perulli ( Venezia) hanno contestualizzato le evoluzioni della materia: «Con la digitalizzazione, il mercato del lavoro ha subito un big bang di innovazione disgregativa: lo spazio ha perso i suoi connotati; i criteri quantitativi hanno preso il sopravvento su quelli qualitativi ed è avvenuta una compenetrazione tra lavoratori e macchine», ha spiegato Lunardon, notando come «il Diritto del lavoro sia da sempre sensibilissimo nel recepire i cambiamenti, ma le riforme che lo hanno agitato a partire dal 2003 lo hanno reso un po’ esausto davanti ai nuovi fenomeni». In buona sostanza, la sfida per i giuristi, oggi, è riuscire a ridefinire gli istituti, a partire dalle nuove geometrie dei rapporti di lavoro subordinato, autonomo e parasubordinato. Esempio noto alla giurisprudenza è quello dei riders ( i lavoratori che si spostano in bicicletta consegnando a domicilio prodotti, su commissione di aziende digitali), lavoratori della “gig economy” che hanno bisogno di nuovi criteri di definizione perché offrono prestazioni difficilmente inquadrabili nei canoni tradizionali. «La digitalizzazione deve essere interpretata dai giuristi, perché non può essere un fattore neutro del diritto», ha ragionato Perulli, secondo cui «la sfida è quella di qualificare i nuovi rapporti di lavoro, basati su una inedita interazione tra uomo e macchina e nello sviluppo della sharing economy».

Sul versante del rapporto tra lavoro e impresa si sono invece confrontati il sindacalista e probabile prossimo segretario della Cgil Maurizio Landini e il presidente di Confindustria Emilia, Alberto Vacchi. Pur da posizioni contrapposte, i due si sono trovati d’accordo su due questioni: la bocciatura del decreto Dignità, «che ha generato un turnover di contratti a termine ma non ha stabilizzato alcun lavoratore», e il mancato dialogo col governo. «Se c’è un punto che mette d’accordo il nuovo esecutivo con il vecchio è che neanche l’attuale vuole parlare col sindacato», ha lamentato Landini. Vacchi ha aggiunto che «il governo non chiama il sindacato ma nemmeno i datori di lavoro. Questo è un paradosso, perché così non ha la coscienza di che cosa sta evolvendo nel Paese» e «se continua sulla linea del rifiuto al confronto, i nodi verranno al pettine». Nel merito delle tematiche giuslavoristiche, Landini ha ragionato su come «nonostante i cambiamenti, il tempo e lo spazio rimangano. La tecnologia non è neutra e per il sindacato il punto chiave è decidere come si progettano le nuove macchine, con quali obiettivi e per rispondere a quali interessi: cambiano i contenuti e le competenze, ma è costante il fatto che sono i lavoratori a realizzare il profitto e che devono esistere spazi di contrattazione tra lavoro e impresa», ha esordito Landini, sottolineando come la Cgil abbia depositato in Parlamento una proposta di legge per una nuova Carta dei diritti dei lavoratori, «con al centro la persona, che deve godere di determinati diritti e garanzie a prescindere dal rapporto di lavoro». Dal versante dei datori di lavoro, Vacchi ha ricordato come «qualsiasi processo tecnologico preveda il coinvolgimento della figura umana, dunque l’obiettivo è la professionalizzazione delle fasce di lavoratori che devono entrare in questa dinamica. Non si può subire il fenomeno, se si vuole rimanere competitivi, e la realtà sta cambiando molto velocemente».

Polemicamente, infine, Landini è intervenuto sulla questione delle riforme legislative: «Il lavoro non si crea modificando le regole. La Germania investe in innovazione quattro volte tanto rispetto all’Italia, ma nella manovra di bilancio di questo non c’è traccia». E ancora, il futuro segretario della Cgil ha lanciato un affondo al vicepremier Salvini: «Il problema del Paese non sono i neri, ma è il lavoro nero». Al termine del dibattito, i 700 avvocati giuslavoristi presenti si sono divisi in sei workshop per approfondire l’impatto del cambiamento tecnologico su contratti, tutele e occupazione. Nell’abito dei lavori, Bottini ha anche espresso un giudizio negativo sul reddito di cittadinanza: «Parlo a titolo personale considerato nell’associazione convivono sensibilità e opinioni diverse», ha detto il presidente dell’Agi, «ma io credo che il reddito rischi di essere semplicemente una misura assistenzialistica, perché è impensabile che i centri per l’impiego possano fare una raffica di offerte». Oggi si va avanti con altri interventi, tra cui quello dell’ex premier Romano Prodi.