La neo presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per replicare a chi invoca qualcosa di concreto per la lotta alla mafia, chiede all’opposizione di collaborare per difendere il 4 bis dell’ordinamento penitenziario. L’articolo che ha creato il cosiddetto ergastolo ostativo. Ed è quell’articolo che la Corte costituzionale chiede di modificare prorogando la scadenza all’8 novembre.

Presunti pentiti come Scarantino spesso hanno raccontato il falso per assecondare i pm

Ma siamo sicuri che sia davvero un istituto efficace e non una foglia di fico che rende il nostro Paese un perenne Stato emergenziale rimasto fermo ai primi anni 90? Siamo sicuri che non abbia creato presunti pentiti (collaborando, crolla l’ostatività) che molto spesso raccontano balle per assecondare taluni pubblici ministeri che non applicano il metodo Falcone e Borsellino? Sia i giudici della Corte di Strasburgo che quelli della Consulta, hanno sottolineato che la stessa collaborazione molto spesso non è autentica, ma fatta solo per ottenere dei benefici. Abbiamo il caso eclatante del falso collaboratore Vincenzo Scarantino che ha fatto arrestare e condannare persone innocenti, accusati di aver eseguito la strage di via D’ Amelio.

Il pentito Di Maggio continuava a delinquere

Se pensiamo al discorso del ravvedimento, abbiamo esempi di collaboratori di giustizia che, ottenendo i benefici, hanno commesso dei crimini. Uno a caso è stato il pentito Balduccio Di Maggio, il quale fu testimone “chiave” durante il processo Andreotti. Sicuramente la leader di Fratelli D’Italia può chiederlo alla senatrice Giulia Bongiorno visto che fu l’avvocato dell’ex presidente del Consiglio democristiano. Mentre si sentiva coccolato dall’allora procura di Palermo - almeno questa era la sua percezione dal tenore delle intercettazioni che uscirono fuori durante il processo -, commetteva omicidi e tanti altri reati. Modificare l’ostatività, non vuol dire abdicare alla lotta alla mafia. Non è “tana libera tutti” e non è – come dice il pensiero mainstream – liberare i mafiosi stragisti, tra l’altro rimasti in pochi e che moriranno seppelliti al 41 bis. Basterebbe vedere la richiesta di permesso premio (per questo beneficio è caduta l’ostatività con la sentenza costituzionale) dei Graviano: respinta.

La mafia stragista non esiste più, ma c'è quella che ha scelto la strategia della sommersione

Eppure, gli ultimi “stragisti” rimasti, son gravemente malati e sostituiti da decenni da altri boss, quelli che hanno scelto la strategia della sommersione. Ed è proprio quest’ultima che va combattuta con altri mezzi. Non con istituti anacronistici e lesivi sia dei diritti umani, ma anche della vera lotta alla mafia. La stragrande maggioranza degli ergastolani ostativi, non sono boss sanguinari. Sono persone che hanno varcato la soglia del carcere in giovanissima età e oggi hanno più di 60 anni. Molti di loro sono ravveduti. Ma il ravvedimento non è la collaborazione, e non può essere estorta. Lo Stato italiano, la nostra nazione, deve essere migliore della mafia.

Falcone non ha assolutamente escluso la possibilità dei benefici in assenza di collaborazione

Si parla tanto di Giovanni Falcone, ma si nasconde il fatto che lui aveva in mente un 4 bis totalmente diverso da quello che poi è stato legiferato dopo la sua morte. Basterebbe leggere un capitolo del recente libro – con la prefazione del Garante Mauro Palma – dal titolo “Il diritto alla speranza. L’ergastolo nel diritto penale costituzionale”. Un libro pensato da autorevoli giuristi come Emilio Dolcini, Elvio Fassone, Davide Galliani, Paulo Pinto de Albuquerque e Andrea Pugiotto. Un libro che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sicuramente apprezzerà. Si apprende che Falcone non ha assolutamente escluso la possibilità dei benefici in assenza di collaborazione, ma ha semplicemente allungato i termini per ottenerla. In soldoni, ciò che aveva ideato Falcone, contemplava questa ratio: se non collabori non è preclusa la misura alternativa, devi solo attendere il decorso del tempo per poterla chiedere, sapendo che è stato aumentato.

Paolo Borsellino non fu ucciso per il "papello"

Paolo Borsellino non è stato ucciso per via del papello di Totò Riina, come appare credere anche Giorgia Meloni in una sua recente intervista su Libero. Attenzione, quello è il pensiero inculcato dai teoremi giudiziari. Non si è mai provato della sua esistenza. Quello che Massimo Ciancimino sventolò innanzi ai pm, si è rivelato una patacca. Totò Riina decise di compiere la strage di Via D’Amelio, infischiandosene dell’effetto che si sarebbe avuto: i decreti sul 4 bis e 41 bis erano messi in discussione da numerose frange garantiste del Parlamento, ma la strage ha creato l’effetto contrario. Ciò significa che Totò Riina aveva paura di ben altro. Di cosa? Non delle trame nere, Gladio, P2, narrazioni utili sia per coprire delle verità, sia per continuare ad usarle come strumento politico. No. In tutte le sentenze emerge la questione mafia-appalti. Ma per questo ci vorrebbe una commissione parlamentare composta da persone bipartisan, soprattutto estranee a quell’epoca, senza nemmeno il coinvolgimento dei magistrati che operavano allora in Sicilia. Borsellino, prima di morire, disse alla moglie che la sua morte sarà voluta dai suoi colleghi ed altri. Una commissione seria, sarebbe davvero un bel tributo a un magistrato che, tra l’altro, apparteneva alla stessa corrente politica della Meloni come ha ricordato anche l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino. Solo così, il cerchio si chiuderà per davvero.