È fondato il motivo di ricorso in Cassazione che impone una revisione anche per il 416 bis a causa della rivalutazione sulla testimonianza di Vincenzo Scarantino. Il depistaggio non giustifica solo la revisione della responsabilità per la strage ma anche quella di associazione mafiosa. Il ricorrente è Gaetano Scotto, una delle dieci persone condannate ingiustamente per la strage avvenuta in Palermo, via Mariano D'Amelio, il 19 luglio del 1992, costata la vita al magistrato Paolo Borsellino ed agli agenti della polizia di stato Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Emanuela Loi ed Eddie Walter Cusina.

Lo si legge nella sentenza della Cassazione da poco depositata che sottolinea come – il caso oggetto della ridiscussione – «rappresenta uno dei più gravi errori giudiziari della storia del nostro Paese», essendo stata - all'epoca - affermata la penale responsabilità di dieci individui per il gravissimo delitto di strage sulla base di un materiale dimostrativo dimostratosi, con il passare del tempo, estremamente fragile e inidoneo. Tra di loro vi è Gaetano Scotto, la cui posizione in rapporto al reato associativo - oggetto del ricorso - era, all'epoca, stata costruita, nei giudizi di merito, sui contenuti narrativi resi dallo Scarantino, tesi a raffigurare il coinvolgimento attivo di tale soggetto nella fase esecutiva della strage di via Mariano D'Amelio.

«È dunque innegabile che – si legge nella sentenza -, rimosse dal quadro valutativo le dichiarazioni dello Scarantino ( essenzialmente per la sopravvenienza di quelle dello Spatuzza, ritenute affidabili, e per l'assoluta inconciliabilità tra i due contributi) e caduta l'affermazione di penale responsabilità per il concorso nella strage, il quadro probatorio dell'epoca viene fortemente ridimensionato».

Va ricordato che la fonte probatoria principale nel giudizio celebratosi a carico di Gaetano Scotto era rappresentata proprio dal contributo narrativo di Scarantino, che aveva riferito circa il coinvolgimento di Scotto e del fratello Pietro nella fase preparatoria della strage di via D'Amelio. In particolare, secondo quanto affermato dallo Scarantino, il fratello di Gaetano Scotto - in virtù delle sue competenze tecniche - avrebbe manomesso le linee telefoniche dello stabile di via D'Amelio dove dimorava la madre di Borsellino al fine di captare abusivamente le conversazioni tra lei e il figlio. Gaetano, già appartenente al consorzio mafioso, sempre secondo Scarantino avrebbe riferito le risultanze di tale captazione abusiva a Vernengo Cosimo ed altri soggetti. La Cassazione ricorda un fatto importante su questo punto. Ovvero che già la posizione del fratello di Gaetano - il presunto captatore - era stata definita da una sentenza di assoluzione, per non aver commesso il fatto, emessa dalla Corte di Assise d'appello di Caltanissetta. Il 23 gennaio del 1999 è stato rigetto il ricorso proposto dalla pubblica accusa, con sentenza emessa dalla prima sezione penale della Cassazione il 18 dicembre del 2000. Aspetto, questo, di elevata criticità e molto dibattuto nel giudizio di merito conclusosi con la sentenza di condanna a carico di Gaetano Scotto emessa dalla Corte di Assise d'Appello di Caltanissetta il 18 marzo del 2002, ed oggetto di analisi nella stessa decisione di legittimità del 2003, conclusasi con il rigetto del ricorso di Gaetano Scotto. La Cassazione, quindi, non solo ha annullato con rinvio per rivalutare le altre prove riguardante l’appartenenza all’associazione mafiosa e la loro consistenza, ma ha anche voluto sottolineare sotto il profilo storico/ giudiziario, come Gaetano Scotto venne condannato ingiustamente, nonostante l’assoluzione del fratello nel lontano 1999. Quindi il venir meno di un pilastro importante in tempi non sospetti che avrebbero già dovuto far mettere in discussione la veridicità di Scarantino.