Dibattere seriamente di carcere è impopolare, figuriamoci di 41 bis, il regime speciale di detenzione concepito come strumento emergenziale in esito alle note stragi del 1992 per impedire ai boss di veicolare ai sodali in libertà i loro ordini criminali. Sono trascorsi ormai 28 anni da quella emergenza ma il carcere duro continua ad esistere, pur avendo perso la sua originaria essenza giustificatrice e si è mutato in un particolare tipo di tortura, usata per placare le ansie di sicurezza dei cittadini e per costringere i reclusi a pentirsi. Tutto questo all’interno di una indifferenza politica e mediatica.

Ma c'è un gruppo di persone che cerca di promuovere il diritto alla conoscenza su quello che veramente succede quotidianamente in quelle celle e che nel contempo porta avanti iniziative politiche volte a superare i regimi detentivi speciali: è l'associazione Nessuno Tocchi Caino che sabato scorso ha organizzato un consiglio direttivo dal titolo “41- bis: monumento speciale della lotta alla mafia, fossa comune di sepolti vivi”, prendendo spunto dall’uscita di un numero monografico sul “carcere duro” della rivista giuridica Giurisprudenza Penale. «Solo il vissuto di chi subisce questa forma di punizione può dare la forza per cambiare questo insopportabile stato di cose» ha detto la tesoriera di Nessuno Tocchi Caino, Elisabetta Zamparutti, introducendo le «storie e le testimonianze in diretta dalla fossa dei sepolti vivi». Tra loro quella di Carmelo Gallico, detenuto per 5 anni al 41 bis, oggi scrittore e divulgatore: «Mi era concessa un’ora di luce, una soltanto, nell’arco di un’intera giornata. La trascorrevo in quella scatola di cemento coperta da due fitte reti di metallo chiamato passeggio. Quindici passi per percorrerla in lungo, appena 5 in larghezza. All’inizio li contavo: camminavo in lungo con gli occhi chiusi sui miei pensieri e giravo a memoria. Le rimanenti 23 ore le trascorrevo nel chiuso della cella sotto il freddo pallore di un neon».

Poi ha preso la parola Immacolata Iacone, moglie di Raffaele Cutolo, che è sottoposto al 41bis dal 1992. La donna ha lanciato un disperato appello: «Lui sta pagando giustamente la sua pena ma vi chiedo a livello umanitario di farlo curare nelle sedi adatte. Non può pentirsi per ottenere questo: ha bisogno di cure. Nell'ultimo incontro avvenuto a Parma un mese fa non è riuscito ad alzare gli occhi, a portare una bottiglia d'acqua alla bocca, a parlare, ad interagire con me e nostra figlia. Sta peggio di come stava Provenzano. Il carcere di Parma è un cimitero di vivi: stanno solo aspettando di farlo uscire morto da lì. Facciamo prima a mettere la sedia elettrica».

Tra le testimonianze c'è stata quella dell'avvocato Lisa Vaira la quale, insieme al collega Andrea Imperato, segue il caso di Pasquale Zagaria che Sergio D'Elia, segretario di Nessuno Tocchi Caino, ha definito come «lo scandalo di uno Stato detto democratico, che pratica la tortura più di quanto accadeva durante il Ventennio con il Codice Rocco». Proprio il magistrato di sorveglianza di Sassari, dottor Riccardo De Vito, che ha concesso il differimento pena per motivi di salute a Zagaria è intervenuto tra i primi: «Secondo me i decreti legge 28 e 29 del 2020 segnano una curvatura pericolosa. Ci eravamo lasciati prima dell'irruzione del covid con gli avanzamenti della Corte Costituzionale sul terreno delle ostatività; invece la pandemia ha fatto concretamente entrare nell'ordinamento uno slittamento di senso, vale a dire di nuovo la riproduzione degli automatismi, questa volta piegati però non al trattamento ma addirittura imposti rispetto alla platea dei diritti. A ciò si aggiunge il rischio che la magistratura di sorveglianza perda la sua cultura di discrezionalità e terzietà, rischiando di recepire acriticamente le valutazioni delle procure, che non sono di un giudice terzo».

Moltissimi altri interventi, tra cui quello di Rita Bernardini, del Garante Nazionale dei diritti dei detenuti Mauro Palma che ha espresso preoccupazione per una recente circolare del Dap che pone il rischio dell'utilizzo del trasferimento come elemento disciplinare che in Italia non è previsto, e anche accademici - Davide Galliani, Pasquale Bronzo - e avvocati tra cui Simona Giannetti, Michele Capano, Maria Brucale, Silvia Marina Mori, Maria Teresa Pintus, Alessandro Gerardi, Gianpaolo Catanzariti, e tanti altri. Per riascoltarli tutti si può consultare l'archivio di Radio Radicale.