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Vittorio Manes processo mediatico
Dal 5 maggio è in libreria il nuovo saggio di Vittorio Manes, avvocato e professore ordinario di Diritto penale all'Università di Bologna, dal titolo Giustizia mediatica - Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo (Il Mulino, pagine 168, euro 15). La premessa dell'autore non lascia dubbi: «La giustizia penale è diventata spettacolo». Non siamo dinanzi a pura e semplice informazione o cronaca giudiziaria, «ma anche autentico intrattenimento, sempre più incline al voyeurismo giudiziario». È il cosiddetto processo mediatico parallelo, senza tempo, senza spazio, senza regole rispetto a quello che si celebra nelle aule di tribunale, che condanna prima di una sentenza definitiva.
Infatti, scrive l'autore, l'indagato si trasforma in «un colpevole in attesa di giudizio» assoggettato «a un'immediata degradazione pubblica» e avviato «a un'irrefrenabile catàbasi personale e professionale». A venire profondamente lesa è dunque prima di tutto la garanzia della presunzione di innocenza. A causa della «curvatura inquisitoria» del trial by media, l'onere della prova si inverte: non sarà più il pm a dover provare la colpevolezza dell'imputato ma la difesa la sua innocenza. Il dubio pro reo si rovescia nel dubio pro republica. In questa mise en scene delle indagini e del dibattimento su stampa e in tv, ad essere coinvolti sono tutti i soggetti del processo.
La vittima, prendendo in prestito una definizione di Filippo Sgubbi, è per Manes «l'eroe moderno, ormai santificato», istituita come tale «ante iudicium, ma anche fortemente protagonizzata a scapito del presunto reo». Come co- protagonista troviamo il magistrato dell'accusa: «sedotto dall'ammaliante convinzione che vincere nei cuori della gente può essere - e molto spesso è più importante che vincere in aula» il pubblico ministero diviene «il tribuno dei diritti della vittima o comunque paladino delle aspettative pubbliche». E l'avvocato? Molto interessante la doppia rappresentazione che ci restituisce Manes: «Anche l'avvocato può occupare un ruolo di rilievo, anche se questo è molto diverso a seconda della posizione processuale rivestita e dalla parte che assiste, che può condurlo ad agire o patire il processo mediatico. Se tutela l'interesse della vittima - o se opera come patrono di parte civile - può fruire di riflesso del protagonismo di questa, e non di rado può lasciarsi irretire dalla forza seduttiva dei media sino a prendere parte a programmi di informazione, di infotainment o a talk show contribuendo bon gré mal gré alla spettacolare ricostruzione collaterale dei fatti. Al netto di ogni valutazione deontologica, quando l'avvocato si presta a questo gioco lo fa però a suo rischio e pericolo, perché difficilmente governerà le correnti di opinione che si agitano nel vortice mediatico, dove il passo dai Campi Elisi alle paludi dello Stige può essere davvero breve». Se viceversa tutela l'indagato l'avvocato «versa in una posizione decisamente scomoda: il rovesciamento della presunzione di innocenza lo colloca in posizione di ' minorata difesa', se non sostanzialmente "fuori gioco"».
Non è immune al bombardamento mediatico persino il giudice che, nonostante il suo corredo professionale, si sentirà inevitabilmente chiamato a dire da che parte sta, se dalla parte della pubblica opinione o dalla parte degli indagati che la vox populi considera già presunti colpevoli. Ormai nel nostro sistema assolvere o derubricare un reato è divenuto un atto di coraggio.
Tutto questo ha pertanto delle ricadute sul piano processuale: oltre all'eclissi della presunzione di innocenza si assiste anche alla lesione del diritto di difendersi nel contraddittorio tra le parti. L'autore allude, ad esempio, «al rischio che la parodia televisiva eserciti una silenziosa manipolazione del ricordo nei soggetti chiamati a dare il loro contributo testimoniale, e che tale alterazione conduca a quella che è stata finemente descritta come una sorte di subornazione mediatica». Di fronte a tale scenario perde ogni efficacia maieutica lo strumento di verifica dell'attendibilità del teste, il cosiddetto contro esame.
Per non parlare poi del rischio di condizionamento irreversibile della stessa persona offesa. Come invertire la rotta? Manes suggerisce «un approccio rights-based» da parte della magistratura e della stampa che permetta di bilanciare, anche in linea con le disposizioni europee, l'interesse pubblico ad essere informati con il rispetto dei diritti fondamentali delle persone coinvolte in una indagine e/ o processo.