Non è passato inosservato che nel patto elettorale siglato tra il Partito democratico da un lato e Azione e +Europa dall'altro manchi un capitolo sulla giustizia e il carcere. È vero che tra gli obiettivi comuni c'è quello di "realizzare integralmente il Pnrr nel rispetto del cronoprogramma convenuto con l'Ue" che comprende anche le riforme della giustizia. Ed è anche vero che quello presentato due giorni fa non è un programma comune di coalizione, ma un accordo tecnico sui collegi. Tuttavia ci si chiede cosa accadrebbe sul tema della giustizia se l'alleanza fosse chiamata a governare, dato che da ambo le parti si ribadisce che ognuno ha il proprio manifesto elettorale e ci si muove nella "rispettiva autonomia programmatica". In questi ultimi anni abbiamo visto grandi distanze tra Pd e Azione. L'ultimo terreno di scontro sono stati i referendum giustizia giusta, con il partito di Calenda favorevole e quello dem assolutamente contrario: l'accesa diatriba era andata in scena nello studio di Enrico Mentana su La7, quando a fronteggiarsi sul quesito contro l'abuso della custodia cautelare si trovarono il responsabile giustizia di Azione Enrico Costa e la vice presidente del Pd Debora Serracchiani. Ma non dimentichiamo il voto contrario del Pd, in compagnia di Lega, Forza Italia e Movimento 5 Stelle, all'ordine del giorno sempre di Costa per avviare un monitoraggio ministeriale dei comunicati e conferenza stampa delle Procure. Così come i dem dissero no ad un altro ordine del giorno di Costa per ponderare l'uso del trojan. Ma scontri ci sono stati pure sulla riforma del Csm e dell'ordinamento giudiziario: all'ultima assemblea dell'Anm, quella che lo scorso aprile decretò lo sciopero contro la riforma Cartabia, applausi furono riservati alla grillina Giulia Sarti e alla dem Anna Rossomando, mentre l'intervento di Costa fu accolto con freddezza, perché è stato lui fortemente a volere la modifica del fascicolo di valutazione per i magistrati. L'apice della tensione si è forse raggiunto l'anno scorso, durante il dibattito per il recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza. Al termine di una giornata convulsa volarono parole pesanti tra Costa e il dem Walter Verini. Quest'ultimo lo accusò di «voler usare per l'ennesima volta la giustizia come terreno di scontro politico» e di «seminare sempre zizzania». L'altro replicò: «Il Pd è indecente: sbandiera il principio della presunzione d'innocenza, poi quando si tratta di votare lo affossa». Quando qualche settimana fa si parlava ancora di campo largo, Enrico Letta stilò una lista di sei temi - lavoro, Europa, scuola, sanità, diritti, ambiente - su cui far convergere Giuseppe Conte e Carlo Calenda. Mancava ancora una volta la giustizia, come se fosse o la cenerentola della politica o una bomba pronta a far saltare qualsiasi alleanza. Enrico Costa non si lasciò attendere con un suo tweet: «Allora Enrico, cominciamo dalla giustizia. Sono curioso di conoscere il punto di sintesi. Lo stop alla prescrizione? Il fine processo mai? Il trojan indiscriminato? Il traffico di influenze? I garantisti liquidati come impunitisti?». Fatte queste premesse, è lecito chiedersi se riuscirebbero a governare insieme sulla giustizia. Questa preoccupazione sembra non interessare al momento perché l'obiettivo comune è solo quello di fronteggiare come meglio si può la coalizione di centro-destra. E però uno sguardo al futuro non può mancare, memori del fatto che la giustizia appunto può far saltare Governi: vedasi Bonafede. La responsabile giustizia del Pd, la senatrice Anna Rossomando, ci dice: «Per il Pd si riparte da riforma dell'ordinamento penitenziario, deflazione del contenzioso, interventi sulla depenalizzazione, tempi ragionevoli dei processi, innovazione e organizzazione, garanzie per una uguaglianza sostanziale nellaccesso alla giustizia e ancora l'Alta Corte per impugnazioni sugli addebiti disciplinari dei magistrati e sulle nomine contestate, revisione della legge Severino in merito alla sospensione dei sindaci. Proposte che hanno come minimo comun denominatore la cultura delle garanzie come segno della cultura della legalità». Mentre il vicesegretario di Azione, l'onorevole Enrico Costa, che, da quanto trapelato, Calenda potrebbe proporre quale Ministro della Giustizia per il dopo Cartabia, ci ribadisce: «Noi imporremo la nostra linea. Quella linea che è chiaramente descritta nel nostro programma». Per il parlamentare, «in questo ultimo periodo siamo stati quelli che hanno ottenuto più risultati sul versante della giustizia: la legge sulla presunzione di innocenza, il fascicolo di valutazione di professionalità dei magistrati, il diritto all'oblio e le spese legali per gli assolti. Non solo: abbiamo fermato lo stop alla prescrizione di Bonafede». Per questo, prosegue, «porteremo dietro tutti gli altri perché siamo una forza politica trainante». E conclude: «Mentre il Partito democratico in questi anni si è caratterizzato per una certa flessibilità in tema di giustizia, la nostra agenda invece non può essere piegata a nessuna condizione. Non cederemo mai sulla separazione delle carriere, sulla lotta al correntismo, sulla responsabilità civile dei magistrati, sulle garanzie difensive». Se le due prospettive si sommano ben venga l'alleanza ma sui temi divisivi, tipo appunto la separazione delle carriere, chi prevarrebbe?