«È un pregiudizio, neppure sottile, che si scorge in tanti passaggi del decreto intercettazioni. Emerge con chiarezza quando si impedisce a noi avvocati di ottenere copia delle comunicazioni non ammesse dal giudice. Come se si desse per scontato che saremmo noi, di solito, a trasferirle alla stampa...». Il presidente dell’Unione Camere penali Beniamino Migliucci è contrariato per più di un dettaglio delle norme varate dal governo e ora sottoposte alle commissioni Giustizia del Parlamento. «Nell’audizione alla Camera ho ricordato che il cialtrone può esserci da entrambe le parti, ma che i fatti attestano come gli ‘ ascolti’ finiti sui giornali provengano nell’ 80 per cento dei casi dal circuito inquirente». Obiettivo del provvedimento è impedire che conversazioni private e irrilevanti per la giustizia vengano pubblicate. «Ma tutto è concepito sulla base di un non detto: saremmo noi difensori l’elemento permeabile».

Ci dica perché, presidente Migliucci.

Partirei dalla modifica dell’articolo 103 del Codice di procedura, che disciplina l’inutilizzabilità delle conversazioni tra difensore e assistito. Avevamo chiesto che fossero distrutte, se casualmente captate. In subordine, che fossero trasmesse subito al gip in modo che fosse lui a decidere se davvero sussistano motivi tali da impedirne la distruzione. Invece viene sì tutelata la riservatezza verso l’esterno, perché il divieto di trascrivere le comunicazioni del difensore sarebbe inderogabile, ma non c’è una tutela interna al procedimento. Il file esiste, la polizia lo ascolta, può riferirne al pm che a sua volta potrebbe riascoltarlo, scoprire la strategia difensiva. Così non va, tanto più che la delega viene tradita: vi si prevedeva di tutelare la riservatezza, non solo di impedirne la diffusione. E sia chiaro, qui non si tratta di privilegio, ma di sacralità della funzione difensiva.

E l’Ucpi non obietta solo su questo punto.

Ce n’è un altro infatti, sempre relativo alla compressione del diritto di difesa. L’avvocato non può trarre copia delle intercettazioni, può solo prendere visione di quelle trascritte o ascoltarle se non sono state trascritte. Vuol dire naufragare nel mare delle bobine alla ricerca di una conversazione che l’indagato o il teste magari ti segnalano. Senza brogliacci, e senza poter copiare i file, è impresa sovrumana. Dopodiché, se pure l’avvocato riesce a rintracciare i brani che ritiene debbano essere inseriti nel fascicolo, il gip decide a riguardo anche senza contraddittorio tra le parti.

L’udienza filtro è prevista “quando necessario”.

Ecco: e chi lo stabilisce? Il giudice, sì, ma su quale base? Come faccio a spiegare, fuori da un contraddittorio, le ragioni per cui chiedo di inserire un brano? Sempre come se la parità nel contraddittorio fosse un ammennicolo superfluo. Potranno pensarlo i magistrati, noi no di certo. E non è finita qui.

In che senso?

Immaginate cosa vorrebbe dire in un maxiprocesso, per gli avvocati, consultare e tenere a mente le intercettazioni, senza estrarne copia e quindi con la sola possibilità di prendere appunti a penna. Con decine di indagati e quindi di difensori. Gli avvocati di coloro che non possono permettersi il megastudio con 20 dipendenti dovrebbero trascorrere mesi attaccati all’auricolare. Vorrei aggiungere un’altra cosa.

Dica.

Dopo l’udienza, o la ‘ nonudienza’ stralcio, se io avvocato realizzo che tra le comunicazioni ascoltate o lette dopo il deposito ce n’era una in effetti utile al mio assistito, torno nell’ufficio del pm e, a leggere la norma, pare che debba chiedergli il permesso di riesaminare il materiale custodito nel suo archivio segreto. C’è anche il rischio che lui mi chieda perché sono alla ricerca di quel brano. Dopodiché, di nuovo, non posso copiare nulla. Sempre e solo appunti a penna, o a memoria. Mi pare tutto frutto di un pregiudizio nei confronti di noi avvocati, da cui discende una chiara disparità tra le parti. Il pm continuerà ad avere tutto registrato nell’ archivio segreto, che si trova nel suo ufficio: può sentire, cercare, riascoltare quando vuole. L’avvocato deve frugare, se ci riesce. Io credo che il decreto intercettazioni avesse obiettivi anche ragionevoli ma che poi non riesca a perseguirli. Perché pone divieti ma non li accompagna con sanzioni.

Il relatore del ddl penale, in cui era inserita la delega, Felice Casson, sostiene che se il pm fa trascrivere quanto non pertinente o necessario alle indagini, è passibile di procedimento disciplinare. A maggior ragione qualora fossero trascritte le comunicazioni col difensore.

Bene, lo mettano per iscritto. Non va bene dire ‘ non preoccupatevi, l’illecito sarà perseguito anche se non è esplicitamente previsto’. Sia inserito nella norma, che si tratti di sanzione disciplinare o anche penale. Del pm ma anche della polizia. Altrimenti restiamo noi avvocati a essere oggetto di pregiudizio, e i magistrati ancora una volta immuni da qualsiasi possibile conseguenza.