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Media e giustizia sono i due poli di un rapporto centrale per la democrazia ma che mai come in questi ultimi anni si è distorto. «I media rimandano spesso un’immagine della giustizia inevitabilmente deformata, come uno specchio che non riflette bene», ha esordito il professor Glauco Giostra, intervenuto insieme al consigliere del Csm, Alessio Zaccaria, all’avvocato Vinicio Nardo e al direttore del Dubbio, Piero Sansonetti alla tavola rotonda su questo tema del settimo Congresso Giuridico Distrettuale del Trentino- Alto Adige. «La distorsione riguarda in particolare il punto di fuoco del procedimento penale, che secondo le norme è il dibattimento, secondo la stampa invece sono le indagini preliminari. Questa fase acquista nel racconto mediatico una rilevanza che non ha e che non può avere nel procedimento», è stata la sua analisi. «Per questo - ha aggiunto abolirei i talk show che si occupano di giustizia e danno credito a contenuti inammissibili nei processi come le notizie de relato. Questo contribuisce a rendere la nostra una democrazia giudiziaria».
Di conseguenza a questa deforma- zione del rito, ha conquistato sempre più spazio una delle derive peggiori: «Non tanto le fake news, che si possono comunque confutare e sbugiardare. Il vero pericolo sono le fake truths, ovvero le verità fittizie che nascono quando si insiste mediaticamente portando alla ribalta fatti di poco valore, ammantandoli però di una dimensione che non hanno: è il tipico caso, per esempio, delle meningiti fulminanti che i giornali hanno raccontato per mesi come se si trattasse di un’epidemia. Ecco, queste notizie non sono smentibili nel fatto, ma sono false nel portato che si vuole dare loro». A conferma del cortocircuito tra media e magistratura, anche Alessio Zaccaria ha ragionato sul come «esiste un problema di comunicazione sia da parte delle singole Corti che da parte dei magistrati. Le corti dovrebbero dotarsi di una struttura ad hoc, perchè molti problemi sorgono dall’incapacità dei magistrati di comunicare in modo corretto coi media». Un problema che è stato riassunto da Nardo con una metafora: «Siamo davanti a un bivio tra Stato di diritto e Stato etico. Si travalica in quest’ultimo quando il processo non si svolge più in quanto tale, ma diventa per il magistrato il modo di dare un suo messaggio educativo per la società».
La sessione, tra le più seguite delle cinque che si svolgevano in contemporanea in diverse branche giuridiche, ha richiamato nell’aula della facoltà di giurisprudenza di Trento più di 200 persone, degli oltre 850 iscritti anche da fuori regione a partecipare alla tre giorni di dibattito organizzata dagli ordini degli avvocati di Trento, Rovereto e Bolzano.
A riprendere il filo conduttore annodato nella sessione inaugurale dall’avvocato Fernanda Contri e dal primo presidente emerito della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio, è stata la sessione di procedura penale con relatore il professor Giorgio Spangher. Il giurista, infatti, nell’articolare gli elementi della riforma Orlando del processo penale, ne ha ricordato il disegno unitario frutto di una concezione della giurisdizione prodotta dalla Suprema Corte sotto la guida proprio di Canzio. «La riforma, di cui la parte dell’ordinamento penitenziario rimarrà probabilmente incompiuta, ha tradotto l’ispirazione di giurisdizione del presidente Canzio», ha spiegato Spangher, che ha ricostruito dal punto di vista dei principi i criteri utilizzati: «La ratio è stata quella di connotare la riforma coi principi di non regressione, ovvero che il processo deve procedere senza regredire se non eccezionalmente alle fasi precedenti; di non deviazione incidentale che rallenti lo sviluppo e di non interruzione della sequenza processuale degli atti. A presiedere idealmente questo percorso, la funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione».
A seguire, l’avvocato egiziano Hassan Ahmed ha portato la sua testimonianza di avvocato per i diritti umani al Cairo, denunciando ancora una volta la situazione precaria dal punto di vista dei diritti civili del paese africano e spiegando come lo stato di diritto sia un bene giuridico da difendere ancora oggi.