Sentito in audizione presso la commissione Giustizia, per volere del Movimento 5Stelle il magistrato Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Catania, ha affermato sostanzialmente due questioni in merito alla proposta di legge sulla liberazione anticipata: si tratta di un provvedimento finalizzato a lanciare dei messaggi ai detenuti potenti ( poi - grazie alla domanda posta da Roberto Giachetti, il promotore della legge, - ha dovuto precisare che non si riferiva a messaggi verso i mafiosi) e che soprattutto è una norma che di fatto regala la libertà a chi si è macchiato di reati con pena elevata. Anche se, nel contempo, ammette che si tratta di reati dove le pene sono esagerate e che mettono in imbarazzo i giudici nell’erogarle.

Secondo Ardita, questo provvedimento sarebbe un vero e proprio indulto, quindi un regalo da parte dello Stato e che butterebbe a mare il lavoro dei tribunali e che si assumerebbe il rischio di reati che, statisticamente, sarebbero stati commessi dopo provvedimenti di tipo indultorio. In realtà, le parole di Ardita non sono nuove. Quando, a seguito della sentenza Torreggiani, il governo è stato costretto a rimediare attraverso anche l’istituzione della libertà anticipata speciale (il decreto Cancellieri), lo stesso Ardita disse testualmente: «Si parla di un indulto mascherato, è peggio. L'indulto opera in maniera generalizzata, uguale per tutti. Invece, con il meccanismo previsto dal decreto- legge, lo sconto cresce con il crescere della pena e, non essendovi sbarramento, vi è la possibilità di far uscire i soggetti più pericolosi sul piano criminale». Oggi, rinnova le stesse obiezioni. Quindi abbiamo un precedente. Il decreto Cancellieri è stato devastante? Ha creato allarme sicurezza? Lo Stato ha ceduto chissà a quale potente detenuto?

La risposta è no. Ma prima bisogna premettere che è assolutamente falso paragonarlo a un indulto. Non è corretto fare questo paragone. L’indulto è una misura di clemenza rivolta a tutti, a prescindere dal comportamento tenuto da parte del detenuto. La liberazione anticipata (sia normale che speciale) è uno strumento collegato alla verifica delle modalità con le quali il detenuto si è comportato durante il periodo di detenzione e nel caso in cui abbia effettivamente dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione. Paragoni del genere sono, quindi, fuorvianti.

Si tratta di un regalo, o un cedimento dello Stato? Forse ci dimentichiamo che per uno Stato di Diritto, la proposta di legge presentata da Roberto Giachetti di Italia Viva, è innanzitutto una sorta di imperativo morale, in considerazione delle condizioni irrispettose della dignità umana nelle quali il sovraffollamento costringe migliaia di detenuti nei nostri istituti penitenziari, dove abbiamo raggiunto un numero esorbitante di suicidi in pochissimi mesi. Tale proposta è anche un obbligo costituzionale: gli articoli 2 e 27 della Costituzione impongono la tutela inderogabile della dignità dell'uomo, anche quando privato della libertà personale. Per finire si tratta di un atto politicamente necessario per la condizione che altrimenti il nostro Paese verrebbe ad assumere sul piano internazionale; ed è un atto quanto mai opportuno anche dal punto di vista economico, in considerazione dei costi che altrimenti si dovrebbero affrontare. Forse Ardita non è al corrente che a causa del sovraffollamento persistente da tempo, diversi detenuti hanno ottenuto dei risarcimenti. Sono soldi dei contribuenti a causa di uno Stato che non riesce a garantire i requisiti minimi. Del resto, che la mancanza di uno spazio vitale all'interno della cella sia una situazione in grado di determinare un pregiudizio grave e attuale ai diritti del detenuto è riconosciuto non solo da una cospicua giurisprudenza della Corte europea, ma anche dalla nostra Corte costituzionale.

Vediamo gli effetti del decreto Cancellieri. Se nel 2013, alla data della sentenza Torreggiani, le persone detenute superavano le 62mila unità (62.536), negli anni successivi si è andati verso un progressivo decongestionamento degli Istituti: 53.623 nel 2014 e 52.164 nel 2015. Nel 2016 tuttavia questo trend si è modificato con un leggero aumento delle presenze. A dicembre 2015, infatti, era scaduta la misura temporanea della liberazione anticipata speciale che aveva aumentato per cinque anni lo sconto di pena concesso ai detenuti che partecipano all’opera di rieducazione, facendolo passare da 45 giorni ogni sei mesi di pena espiata a 75 giorni. In quel quinquennio risulta che ci sia stato un aumento dei reati a causa dello strumento deflattivo? Basterebbe prendere i dati Istat relativi al biennio 2014- 2015. Il quadro nazionale è chiaro. Leggiamolo: “Se negli ultimi anni molti reati di tipo predatorio hanno visto aumentare il loro numero, così come i corrispettivi tassi sulla popolazione, nel 2015 si osservano segnali di flessione per molti dei reati considerati. È il caso dei furti in abitazione, degli scippi, dei borseggi e dei furti nei negozi, così come delle rapine in abitazione e in strada. Anche altre tipologie di delitti mostrano un trend in diminuzione: è il caso degli omicidi e dei tentati omicidi, delle rapine in banca o dei furti di veicoli, delle violenze sessuali denunciate”. Quindi, rispetto agli anni dove i detenuti dovevano stare rinchiusi, senza se e senza ma, nelle carceri con spazi da allevamento intensivo, con l’introduzione della liberazione anticipata speciale, i reati contro la pubblica amministrazione e contro la persona, erano in diminuzione. Riassumiamo. Il provvedimento proposto da Giachetti non è un indulto, non fa uscire in maniera indiscriminata tutti, non favorisce i più forti e soprattutto non mette a rischio la sicurezza. Fortunatamente Ardita, ha dovuto precisare, su sollecitazione del deputato di Italia Viva, che il provvedimento non è un messaggio ai mafiosi, perché non ne ha le prove. Ma aggiunto che “la storia dei rapporti tra il mondo pubblico e quello della popolazione detenuta è fatta anche di messaggi di questo genere, di rassicurazione, quindi non sono cose campate per aria”. Anche questo non è vero. Non è stata varata nel passato alcuna legge volta a riassicurare i boss detenuti. Sono solo suggestioni, all’epoca utili per corroborare tesi giudiziarie sconfessate dalle sentenze definitive. Basti pensare al non rinnovo del 41 bis nei confronti di circa 300 soggetti, di cui poco meno di una decina erano mafiosi ( tra l’altro di basso rango): decisione presa dall’allora ministro della giustizia Conso, a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale. Se non l’avesse fatto, il 41 bis sarebbe caduto.

La Consulta disse che era costituzionale, ma solo se applicato caso per caso e non in maniera generalizzata. I fatti sono questi. Le dietrologie, invece, molto spesso sono funzionali a uno Stato di Polizia. Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino, tra i promotori del provvedimento, ha commentato duramente: «Ciò che sorprende di Ardita - nella sua deriva giustizialista versione “cinquestellina” degli ultimi anni - è che a lui non gliene frega niente di uno Stato Criminale che tiene in ostaggio decine di migliaia di detenuti in condizioni “disumane e degradanti”, per lui si fottano i detenuti e se si suicidano in un numero mai visto, chissenefrega. Se a delinquere è lo Stato, va tutto bene. Se lo Stato si comporta come un delinquente professionale (definizione di Marco Pannella) Ardita non ha niente da dire» .