La rivoluzione giustizialista è alle porte? Se il 4 dicembre vincesse il No, e iniziasse la famosa successione di eventi che i mercati finanziari, per esempio, assimilano a una mezza catastrofe per l'euro, e se a coronamento di tutti i passaggi si arrivasse a un governo con dentro il Movimento cinquestelle, quale riforma della giustizia dovremmo aspettarci? A Palazzo Madama molti parlamentari della stessa maggioranza, nel caso, non immaginano di doversi preparare all'apocalisse. Soprattutto se si guarda alle posizioni espresse in Aula dal senatore M5s Maurizio Buccarella, vicepresidente della commissione Giustizia e considerato dai colleghi pd interlocutore assolutamente ragionevole. «Posso dire che quando ci troviamo di fronte a provvedimenti sensati, ben articolati, non abbiamo problemi a votarli», ricorda Buccarella, «così come il Pd fa la stessa cosa con alcune nostre proposte». Esempi? «Un emendamento sull'Authority anticorruzione a mia prima firma e condiviso dalla maggioranza, con cui si è impedita all'Anac l'opponibilità del segreto di Stato per le verifiche sugli appalti delle grandi opere. O la legge approvata l'anno scorso sugli ecoreati.Sarebbe auspicabile che la stessa cosa avvenisse, per stare alla stretta attualità, con la modifica che ho proposto al decreto fiscale sulla detraibilità dei costi sostenuti per la difesa da parte di imputati assolti con formula piena. È tra l'altro una norma che creerebbe un positivo conflitto d'interesse con il professionista eventualmente intenzionato a non inserire l'intero compenso in fattura».Il salentino Buccarella è avvocato cassazionista: non gli sfuggono dunque le angolature del sistema processuale più problematiche per la difesa. Ma si finisce per essere comunque sorpresi quando dice cosa pensa delle correnti in magistratura: «Da parlamentare e osservatore esterno trovo che le correnti stiano al Csm come i partiti stanno alla politica: vedo chiare analogie, e riconosco due aspetti che un po' inquinano la magistratura: il carrierismo in termini generali e, nel particolare, le scelte nell'assegnazione degli incarichi direttivi fondate non sul merito ma sull'appartenenza a questa o quella corrente». Uno s'aspetterebbe di trovare nei "grillini" una vicinanza incondizionata ai pm, ma a quanto pare non è così. E nella conversazione con Maurizio Buccarella si capisce come l'immagine del Movimento sia in parte definita su frettolosi stereotipi, come quello di "partito amico delle Procure", appunto. Semplificazioni giornalistiche. Ma non solo. Perché più che l'ansia di schierarsi con i magistrati come unici portatori del bene, tra i cinquestelle prevale, come dice Buccarella, «la difficoltà a inquinare il nostro messaggio rivoluzionario pacifico con la rassegnata accettazione di risultati modesti». È questo, più che un estremismo predeterminato, a «tenerci lontani spesso da accordi di compromesso che a volte ci consentirebbero di tradurre nostre proposte in legge: teniamo a comunicare la diversità del nostro movimento, ma anche perché gli accordi al ribasso della politica spesso hanno provocato danni».Vista da vicino la linea effettivamente tenuta dai "grillini" in questi quattro anni scarsi in Parlamento è assai meno refrattaria al dialogo di quanto sia apparsa. Lo si vede dallo "screening" che Buccarella propone sulla madre di tutte le riforme in materia di giustizia, quel ddl penale accantonato causa referendum: «Sulle intercettazioni siamo dell'idea che non servano interventi, soprattutto alla luce delle circolari adottate in molte Procure», ecco un caso in qui i pm sono un punto di riferimento per i cinquestelle. «Quei protocolli a cui i capi degli uffici hanno chiesto di attenersi mi sembra già provvedano a bilanciare interesse investigativo ed esigenze di difesa». Sì con riserve all'innalzamento delle pene per furti e rapine, perché, pensate un po', persino il Movimento trova «eccessiva la tendenza al rialzo dei massimi edittali»; nulla quaestio sul tentativo di «limitare le impugnazioni in Appello e Cassazione»; resta la divergenza rispetto al «compromesso» raggiunto sulla prescrizione. «Noi non vogliamo processi eterni, sia chiaro, ma riteniamo che di fronte a un'emergenza corruzione ancora alta sia necessario un antidoto potente: per questo proponiamo di interrompere del tutto il decorso dei termini di estinzione dei reati dopo l'eventuale condanna in primo grado». Non sarebbe una disciplina "irreversibile", «perché un sistema del genere andrebbe sottoposto a verifica: vediamo se l'impossibilità di ricorrere alla prescrizione, come ora legittimamente fanno le difese per sottrarsi a una condanna spesso ritenuta ingiusta, provoca magari in certi casi la definizione del giudizio con rito alternativo. Se lo stop alla prescrizione in primo grado si rivelasse inefficace, se ne potrebbe ridiscutere. Di certo», spiega il senatore M5s, «questa è una delle prime cose che tenteremmo di fare in materia di giustizia, accompagnata però con meccanismi che mettano i giudici in condizione di assicurare processi veloci». Il primo punto del programma, per un guardasigilli a cinquestelle, sarebbe però la lotta ai reati contro la pubblica amministrazione, «in particolare con il ricorso ad agenti sotto copertura: non si tratterebbe di agenti provocatori, ma di funzioni investigative analoghe a quelle utilizzate contro mafia e pedopornografia».Sul ddl penale e sulla riforma penitenziaria in esso contenuta, Buccarella assicura che «il testo per noi è positivo, a condizione di evitare attenuazioni del 41 bis, istituto purtroppo ancora necessario: ma su misure alternative, lavoro in carcere e necessità di rendere dignitose le condizioni dei detenuti, siamo assolutamente favorevoli». Una certa durezza più nei toni che nella sostanza è insomma, fa capire il colloquio col senatore grillini, inevitabile strumento alla «rivoluzione pacifica». Idea che rimanda un po' ai radicali, vero? «Sì, nei radicali c'è la vocazione a condurre battaglie anche da soli, lotte coraggiose e di principio. C'è un'analogia nel metodo, ma a volte anche nel merito: sui diritti civili l'assonanza è indiscutibile, faccio parte dell'intergruppo creato da Della Vedova, radicale storico, e che si batte per la legalizzazione delle droghe leggere». Alla prova dei fatti, insomma, un esecutivo a cinquestelle potrebbe anche non portare alla fine dello Stato di diritto.