Il titolo, a tutta pagina, dice così: « I legali dei boss processano i cronisti ». Non è il titolo di un fogliaccio di propaganda populista ma del più importante giornale della borghesia moderna, progressista e illuminata, e cioè Repubblica.

Il giornale erede del grande pensiero liberale, della grande tradizione giornalistica laica e democratica, di Mario Pannunzio, di Arrigo Benedetti, di Scalfari. Il titolo si riferisce a una iniziativa della Camera penale di Modena, che ha istituito un osservatorio sull’informazione giudiziaria. Questo osservatorio nasce dopo la pubblicazione di un libro bianco, realizzato a livello nazionale dall’Unione Camere penali con la collaborazione dell’Università di Bologna.

Da questo libro bianco risulta, sulla base di dati statistici, che l’informazione giudiziaria italiana è assolutamente dipendente dall’accusa e dalle procure, e trascura, quasi nega, l’esistenza della difesa e delle sue argomentazioni.

Il titolo di Repubblica denuncia la nascita di questo osservatorio che considera una intimidazione alla libertà di stampa.

Analizziamo prima bene il titolo, poi parliamo dell’intimidazione. Il titolo poteva essere fatto in vari modi. Ad esempio: « Gli avvocati mettono sotto osservazione i giornali ». Sarebbe stato un titolo molto oggettivo. Oppure si poteva fare un titolo malizioso: « Gli avvocati processano i giornali ». Malizioso - per l’uso della parola “processano” - ma non arrogante. Invece, nel titolo che si è scelto, i giornali sono diventati “i cronisti”, con una evidente forzatura della realtà ( la critica delle Camere penali è ai giornali, non ai singoli cronisti). E soprattutto gli avvocati sono diventati, nel titolo, « i legali dei boss ». Scompare la parola avvocato, che ha un sapore nobile, alto, e compare la parola boss. “ Legali dei boss”, in sostanza, allude a una dipendenza del legale dal boss. E dunque, oggettivamente, a una mafiosità dell’avvocato. Il quale, oltretutto, paradossalmente vorrebbe ribaltare lo stato di diritto e, invece di accettare di sottoporsi al processo, pretende di essere lui l’accusatore. Ora forse sarebbe necessario spiegare bene cos’è questo libro bianco e cos’è questo osservatorio, e come né l’uno né l’altro hanno nessun intento “accusatorio”, ma solo di analisi. Questa spiegazione però, molto dettagliata, l’ha fornita sul Dubbio di ieri l’avvocato Renato Borzone. A me invece interessa qui ragionare un momento su questa sbandata giustizialista di uno dei più importanti giornali italiani. E sull’accusa di intimidazione rivolta agli avvocati.

Conosco il direttore di Repubblica e molti suoi giornalisti. Conosco la loro cultura, e in particolare la cultura di Mario Calabresi, il suo pensiero ispirato ai valori della democrazia, della libertà e dello Stato di diritto. Perciò mi rivolgo proprio a lui per porre questa domanda: se anche Repubblica finisce travolta dalla tendenza di trasformare la giustizia in giustizia sommaria, l’accusa in giudizio, l’imputato in colpevole e l’avvocato in sodale dei delinquenti, e cioè di trasformare il diritto in autoritarismo e lo stato di diritto in stato autoritario, o stato etico, o stato dei “migliori”, non credi che la democrazia corra un rischio grandissimo? Io sono convinto che oggi sia aperta una battaglia decisiva per il futuro della modernità, e della stessa civiltà, e che questa battaglia sia tra chi vuole mettere al centro di tutto il diritto e chi invece pensa che il diritto sia antimoderno, e francamente non capisco come si possa combattere questa battaglia senza l’aiuto delle roccaforti della cultura liberale, e quindi senza l’aiuto di un grande giornale come Repubblica.

L’attacco agli avvocati di Modena, descritti come dei “mantenuti” dai boss veramente è preoccupante. È una vera e propria intimidazione, insopportabile, un attacco costruito su una cultura della giustizia nella quale il diritto di difesa è visto come un lusso. Nell’articolo si parla, testualmente di « avvocati retribuiti per difendere clienti del giro della cosca della ‘ ndrangheta d’Emilia» . Capite che questo è un linguaggio inaccettabile, che tradisce una cultura giuridica davvero rasoterra, e che assomiglia al lessico che si usava tra i questurini della Repubblica di Salò?

A nessuno può venire seriamente in mente che l’iniziativa pubblica di una organizzazione di avvocati, che tende a ristabilire la cultura del diritto, possa essere una intimidazione. Gli avvocati, sì, con questa iniziativa hanno indicato il rischio del processo mediatico. Ma non c’è bisogno di immaginare che lo abbiano fatto perchè sono venduti ai mafiosi. Questo rischio è stato indicato, prima che dagli avvocati, nell’ordine ( per fare pochissimi esempi) dal Presidente della Repubblica, dal procuratore generale della Cassazione Canzio, dal suo successore Mammone, da almeno una decina di Procuratori delle grandi città, a partire da Roma ( Pignatone) e ancora l’altro giorno, sul Dubbio, dal presidente del Tribunale di Torino. C’è una parte molto grande della magistratura che ha chiarissimo il rischio che il processo mediatico travolga la nostra giurisdizione. Con enormi danni. Pericolo molto chiaro anche all’avvocatura. Possibile che il giornalismo italiano sia così indietro, sul piano culturale, rispetto alle altre professioni? Possibile che non si renda conto che il suo compito non è quello di ricopiare le informative dei carabinieri o le requisitorie dei Pm, ma quello di criticare, dubitare, indagare, ricercare? E anche quello di discutere, insieme ai protagonisti della giurisdizione, su come si possa ristabilire il diritto e fermare l’obbrobrio dei processi mediatici?

Se i giornalisti riusciranno o no a risollevarsi, a rientrare nella dignità della loro professione, ovviamente non può dipendere solamente dal coraggio, o dalla cultura, o dell’anticonformismo dei singoli cronisti. Dipende dalle proprietà e dalle direzioni dei giornali, dalla Fnsi, dall’Ordine. Tutti soggetti che fin qui hanno preferito mettere il mercato, o il corporativismo, o la subordinazione a qualche Procura, al di sopra della propria dignità culturale. Sarà ora di invertire la tendenza? È immaginabile una inversione di tendenza senza l’impegno di “colossi” come Repubblica?