Una critica senza appello rivolta dalle toghe progressiste di Area al governo gialloverde: «Viviamo una fase di attacco ai diritti in cui conquiste di libertà, di eguaglianza e di sicurezza sociale vengono messe in discussione».

Parole forti che i magistrati di Area, il raggruppamento di cui fa anche parte Magistratura democratica, hanno pronunciato durante la loro Assemblea nazionale tenutasi a Roma lo scorso fine settimana.

Un incontro nato per fare il punto sullo stato dell’associazionismo giudiziario, ma che si è trasformato in un bilancio sui primi mesi del “governo del cambiamento”. Il malcontento nei confronti dell’esecutivo è tangibile. «Rivendichiamo con fermezza il nostro diritto e dovere come gruppo della magistratura associata di fornire alla società ed al dibattito pubblico sui temi della giustizia e della giurisdizione, un qualificato contributo tecnico giuridico di conoscenza, informazione e di giudizio», ha affermato Cristina Ornano, la segretaria generale di Area, nella sua relazione. «Siamo preoccupati - ha proseguito - dalle iniziative di riforma finora messe in campo, sia quanto al metodo, perché al di là degli intenti dichiarati, di fatto non v’è stata alcuna interlocuzione seria con la magistratura, l’avvocatura e l’accademia; sia quanto ai contenuti, perché gli interventi normativi approvati, proposti o annunciati mirano a dare risposte all’insicurezza percepita e la alimentano, ma non danno risposta all’insicurezza reale e diffusa che esiste nel Paese e che necessita di soluzioni diverse dalle “leggi spot”, quali ci paiono quelle finora approvate o proposte».

Nel mirino, il decreto sicurezza e la riforma della legittima difesa. Il primo, in particolare, «un autentico vaso di Pandora in cui è confluito di tutto, ma che suona principalmente come una “legge manifesto” contro i poveri, gli emarginati e gli immigrati. Con esso, infatti, tra le altre cose, si reintroduce il reato di accattonaggio, nonostante l’incostituzionalità nel 1999 dell’analoga norma contenuta nel codice Rocco; si indica come priorità gli sgombri degli immobili occupati pur in assenza di una reale urgenza e di piani di collocamento abitativo; si raddoppiano i temi di permanenza dei migranti nei centri di permanenza, si riduce drasticamente l’intero sistema di accoglienza e integrazione: l’eliminazione della protezione umanitaria prevista dal decreto ha l’effetto di ridurre drasticamente la platea dei migranti ammessi al sistema di accoglienza e di integrazione, con la conseguente marginalizzazione di fasce crescenti di migranti che vengono così sospinti verso l’illegalità».

Il risultato, per i magistrati di Area, è quello di fornire una «risposta ideologica all’insicurezza percepita, mentre si aggrava l’insicurezza reale».

Fra le cause di questa deriva “securitaria”, per le toghe progressiste, certamente la «crisi profonda della democrazia rappresentativa, della quale in Italia l’esito del voto del 4 marzo è stato solo l’epilogo. Da tempo è in atto una campagna di delegittimazione dei corpi intermedi, partiti, sindacati, gruppi associati, additati alla opinione pubblica come centri di potere dediti alla cura di interessi particolari contro l’interesse generale». E, a tal proposito, il «Parlamento appare essere sempre meno quel luogo, disegnato dalla Costituzione repubblicana, di confronto e di sintesi tra le diverse opzioni politico- culturali, per assumere sempre più spesso un ruolo notarile di ratifica di decisioni già prese dal Governo o, peggio, in taluni casi, altrove».

Un rischio per la democrazia rappresentativa viene dalle «piattaforme, algoritmi e social che consentono un contatto diretto tra la persona ed il leader, creando così l’illusione di un nuovo e più autentico circuito democratico. L’illusione, perché l’assenza di intermediazione e, quindi, di luoghi di autentico confronto, unito alla diffusa incultura generale e politica, alla delegittimazione delle Istituzioni, delle competenze e dei saperi, finisce per alimentare una “politica circolare”, nella quale la sollecitazione a determinate scelte politiche proviene da un’indistinta base, cui si risponde con la demagogia, il populismo, la propaganda».

Strumenti, quest’ultimi, che altro non sono che «la scorciatoia per ottenere consenso, evitando risposte complesse e, quindi, perciò in genere impopolari, a problemi complessi, quali sono quelli che la società contemporanea vive e deve affrontare».

Non un bel viatico per un esecutivo che, sulla carta, si professa ' amico' dei magistrati.