L’ingresso, fondamentale, di figure femminili nel personale, anche con ruoli di direzione e di comando della Polizia penitenziaria, ha avuto un impatto importante nel percorso verso una nuova e migliore attenzione al tema delle donne recluse affrontato nell’articolo precedente, anche per i suoi riflessi sulla detenzione in generale. Ma nel mondo della polizia penitenziaria c’è ancora tanta strada da fare per garantire e allargare i diritti delle donne che vi lavorano. La presenza di donne nel corpo di polizia penitenziaria è una novità introdotta appena 31 anni fa con la Legge 395 del 1990 e rappresenta oggi il 9% del personale tra gli agenti (il 7% tra i sovrintendenti e il 12% tra gli ispettori). Questa è una conseguenza anche della normativa vigente secondo cui «il personale del corpo di polizia penitenziaria da adibire ai servizi in Istituto all’interno delle sezioni deve essere dello stesso sesso dei detenuti». E se consideriamo che la popolazione carceraria è costituita 2.252 detenute (dati aggiornati a fine febbraio) su un totale di 53.697 persone recluse, va da sé che la presenza maschile è quasi esclusiva.Ma è davvero quella vigente l’unica modalità possibile? In altri Paesi europei ammesse in servizio anche nelle sezioni maschili Secondo il Coordinamento donne di polizia penitenziaria della Cgil non è così. Ci sono infatti esperienze europee (come quelle di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Spagna, Portogallo, Regno Unito, Francia e Germania) in cui le donne della polizia penitenziaria sono ammesse anche nelle sezioni maschili, salvo che per le operazioni di perquisizione dei detenuti. Queste esperienze insegnano che aumentare il numero di donne nel corpo di polizia penitenziaria, se fatto con criterio, è possibile. C’è poi tutta la questione di come si lavora nelle carceri. Secondo la Cgil, un ambiente storicamente maschile ha mantenuto in sé una serie di aspetti organizzativi e pratici, oltre che psicologici e umani, che rendono difficile il clima per le donne poliziotte. La comunità penitenziaria non rispecchia nella composizione di genere la società esterna Sul tema sono intervenuti anche Michela Romanello e Gennarino De Fazio, rispettivamente, Segretaria Nazionale con delega alle pari opportunità e Segretario Generale della UilPa Polizia Penitenziaria. «Le donne nella Polizia penitenziaria – dichiarano - rappresentano solo il 10% degli uomini; ciò, oltre a discriminare il genere femminile e a comprometterne le pari opportunità nel lavoro e nello sviluppo professionale, si ripercuote pesantemente anche sull’efficacia nel perseguimento della finalità rieducativa della pena, laddove la comunità penitenziaria non rispecchia nella composizione di genere la società esterna». Romanello e De Fazio, denunciano: «Se è vero che il servizio all’interno delle sezioni detentive deve essere assicurato da operatori dello stesso genere dei detenuti ivi ristretti, sembra consequenziale che solo un numero proporzionato al fabbisogno effettivo di donne e uomini in quei servizi rimanga vincolato nella determinazione delle dotazioni organiche e nelle procedure concorsuali, rendendo disponibili i restanti posti senza alcuna distinzione, che si traduce in discriminazione, di genere».