I cittadini, soprattutto per tramite dei partiti e dei media, dibattono democraticamente per l’affermazione dei propri ideali e interessi. Il risultato della dialettica parlamentare sono le leggi, che costituiscono il formante legislativo del Sistema. I magistrati sono obbligati a interpretare e applicare le leggi nel rispetto della Costituzione, oggettivamente, cioè in piena indipendenza dalle forze politiche e dalle ideologie che le hanno generate (ben altro sono le rationes legis, le diverse concezioni del diritto, i modelli interpretativi, etc.). Questo è quanto avviene – deve avvenire - in tutti gli uffici giudiziari. Nel giudicare in nome del Popolo Italiano, i magistrati non rappresentano – non possono rappresentare - alcuno schieramento politico, essendo la legge ormai oggettivizzata e incarnata nel suo testo. In una parola il formante giudiziario del Sistema – cioè il proprium dell’attività giudiziaria – è ubicato a valle del dibattito partitico-politico e in buona misura necessariamente ne astrae. Non a caso, a differenza di quanto avviene altrove, il magistrato italiano è nominato in funzione soltanto dei propri saperi tecnico-giuridici, rigorosamente accertati. Dunque egli non decide e non risponde politicamente, pur non essendo stato mai bouche de la loi (bocca della legge) né sordo alle esigenze della Giustizia e del divenire storico. L’asetticità politica della magistratura, cioè la sua indipendenza, comporta che l’amministrazione dei magistrati e il controllo disciplinare sugli stessi non possa che spettare ad un organo costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura, anch’esso necessariamente estraneo al dibattito politico e alla dialettica partitica. Se i magistrati sono tenuti ad applicare oggettivamente le leggi che governano i cittadini, analogo apolitico obbligo incombe sul Csm, con riferimento alle leggi che disciplinano la condotta e la carriera dei magistrati. Anche il formante amministrativo-giudiziario del Csm prescinde necessariamente dal formante politico. In sintesi, tanto l’attività decisoria dei magistrati quanto quella del Consiglio superiore della magistratura è per definizione apolitica, siccome indipendente. Non a caso il Capo dello Stato presiede il Csm e i suoi consiglieri non possono essere rieletti; circostanze entrambe che escludono di per sé la connotazione politica e la connessa tipica responsabilità. Per conseguenza l’”elezione” dei membri del Csm (come chiamarla altrimenti?), lungi dal trasporre nel Consiglio le forze politiche con il meccanismo della rappresentanza politica o di interessi, seleziona soltanto i soggetti destinati a proteggere, con la propria indipendenza, anche quella dei Magistrati, nell’interesse esclusivo dell’Utente finale della Giustizia. Un compito regolatore tanto difensivo o neutro (di mera interdizione d’interferenze e di scorrettezze, si direbbe), quanto inconciliabile con una “elezione” propriamente politica. Del Csm si dovrebbe cioè parlare come del sommo custode dell’indipendenza giudiziaria, l’incrollabile pietra angolare della separazione dei Poteri. In sé e per sé la scelta di individuare nei magistrati la maggioranza dei componenti del Csm sembra saggia perché, in linea generale, essi sono professionalmente i più politicamente indipendenti (non possono neppure iscriversi ai partiti) e soprattutto hanno (o istituzionalmente avrebbero) precipuo interesse a restare indipendenti, essendo proprio l’indipendenza il “tesoro” loro affidato, la loro stessa ragion d’essere. Mentre la minoritaria componente laica del Consiglio costituisce il vigile «cane da guardia» (watchdog) e il ponte di collegamento alla comunità statale. Questo lucido quadro costituzionale è stato tradito allorché, attraverso le correnti dell’Anm, all’interno del Csm i magistrati si sono fatti invece espressione e complici del potere politico, con l’interessato compiacimento di taluni Partiti. Anche dal punto di vista scenografico, la notte dell’Hotel Champagne, cioè la «notte della magistratura», “fotografa”’ minuziosamente siffatta perversione istituzionale. Nel medesimo tavolo, accanto al Grande Mediatore Palamara, banchettavano e cospiravano consiglieri del Csm, magistrati fuori ruolo (il dott. C. Ferri, oggi parlamentare) e noti parlamentari (il dott. L. Lotti)! Da anni, invece, i membri togati del Csm non sono stati neppure “eletti”. Per lo più sono stati piuttosto “nominati” dalle correnti della magistratura, che agiscono all’interno dell’Anm e del Consiglio, secondo le logiche spartitorie tipiche dei Partiti, inidonee ad assicurare qualunque indipendenza di giudizio. Per rispettare il disegno costituzionale e ricreare la verginità del Csm, bisogna tranciare dunque la cinghia di trasmissione che collega Anm, partiti e Csm. Ma nessuno ha provato a farlo perché nessuno vuole perdere l’enorme potere incostituzionalmente conquistato; tranne il cittadino, che quel potere patisce e vuole soltanto una magistratura e un Csm indipendenti. A differenza dello scandalo di Mani Pulite (originato dalla c.d. corruzione ambientale), quello delle Toghe Sporche (originato dalla maniacale ambizione personale, che corrode l’indipendenza), invece di provocare la rinascita mediante la necessaria epurazione e “vaccinazione”, è stato fin qui sopito e assorbito. La colonna vertebrale dello Stato, cioè la Magistratura, è stata ritenuta troppo importante per soccombere alla propria domestica scelleratezza (too big to fail: troppo grande per crollare). Palamara è stato bandito dalla Magistratura e dalla Anm, ma – ahinoi - il suo Anti Sistema ha vinto e vive perché i suoi numerosi correi sono stati “graziati” (dall’Anm, dal Pg presso la Suprema Corte e dal Consiglio superiore della magistratura) e operano tuttora, nonostante i reiterati appelli del Capo dello Stato. La violazione della Costituzione è ormai conclamata, dando luogo ad un allarmante riassetto materiale dei Poteri e dell’Ordinamento. Come avviene in tutte le pandemie, sospetto e diffidenza si sono proiettati non solo tra i cittadini, ma anche nei massimi vertici della Giurisdizione, coloro cioè che, come medici e sanitari, dovrebbero contribuire a debellare la diffusione del terribile morbo. È recente e allarmante la notizia per cui il dott. Luigi Riello, Procuratore generale di Napoli, ha impugnato davanti al Giudice amministrativo la nomina del dott. Luigi Salvato a Procuratore generale presso la Suprema Corte, cui concorreva. Il ricorrente ha infatti addotto non solo la mancata considerazione da parte del Consiglio superiore della magistratura del fatto che il dott. Luigi Salvato non ha mai esercitato funzioni penali presso la Suprema Corte, ma anche che egli sarebbe rimasto coinvolto nei «messaggi del dott. Luca Palamara riguardanti il dott. Luigi Salvato», che «sono – indubitabilmente – nella disponibilità del Csm». Non è inconsueto che l’assegnazione ad un’altissima carica giudiziaria sia contestata davanti al Tar. Ma è la prima volta – a quanto sembra – che il Sistema Palamara & Company - che è un Antisistema - proietti la sua mefitica ombra persino sul sommo vertice dei magistrati requirenti, quale che possa essere l’attesa decisione del giudice adito. Magistratura, Giudici e Csm non appaiono più indipendenti... e non lo sono più per fatto proprio! I Partiti, quelli compromessi, lo sanno e, non fidandosi più neppure di magistrati mestatori alla maniera di Palamara, hanno deciso soltanto di “governare” direttamente la loro rassegnata dipendenza. Possiamo ancora raddrizzare il «legno storto della Giustizia»? No, fino a quando molti, proprio tra i Giudici, continuano a volerne ignorarne le cause, addebitando la colpa di delegittimare la Magistratura proprio a coloro che piuttosto ne disvelano le responsabilità! Se - come sembra ai più - abbiano gravemente errato i Magistrati e la loro Associazione, proprio da essi, in primo luogo, dovrebbe provenire il ravvedimento operoso! Da chi altri? E se non ora, quando? Hic Rhodus, hic salta! *Già Sostituto Procuratore generale presso la Suprema Corte