«Posso escludere ad oggi di avere mai individuato e segnalato alle procure ipotesi di associazione di stampo mafioso». A dirlo, nell'aula bunker di Rebibbia dove è in corso il processo per l'inchiesta Mafia Capitale, non è un testimone della difesa qualsiasi ma il presidente dell'Anac, l'ex pm Raffaele Cantone. Nella sua deposizione, il capo dell'anticorruzione ha risposto alle domande del difensore di Salvatore Buzzi (titolare dela coop 29 giugno e imputato per associazione mafiosa) spiegando che «l'Anac non formula ipotesi di reato ma si limita a segnalare irregolarità quando esiste il fumus dell'illecito penale. Ad oggi non ci sono mai capitati casi di 416bis». Dunque, nemmeno nel caso dei fatti che costituiscono il fondamento accusatorio dell'inchiesta che ha fatto tremare il Comune di Roma nel 2014 e che in parte sono stati verificati anche da Anac. Capitale corrotta probabilmente sì, dunque, ma non mafiosa. «Sul comune capitolino facemmo verifiche prima dell'indagine su Mafia Capitale ed evidenziammo come il 90% degli appalti veniva affidato con procedure meno sicure e garantite (procedure negoziate ndr). Segnalammo le criticità al Campidoglio per vedere se aveva qualcosa da ribattere, ma la nostra delibera finale arrivò nel periodo della gestione commissariale e l'amministrazione eletta non c'era già più», ha ricostruito l'ex pm. Anac ha segnalato sì le criticità nella gestione degli appalti, ma non le ha mai valutate come rientranti nell'ipotesi di associazione per delinquere di stampo mafioso. Una deposizione, quella di Cantone, che fortifica la linea dell'avvocato Alessandro Diddi, difensore del ras delle cooperative, il quale ha spiegato che «si tratta di un'ulteriore conferma di ciò che sosteniamo da tempo. Buzzi e le sue cooperative non hanno nulla a che vedere con l'associazione di stampo mafioso».Sul fronte politico, le parole del presidente dell'anticorruzione sono piovute come macigni sulle amministrazioni Alemanno e Marino, messe sullo spesso piano almeno per quel che riguarda il metodo di gestione poco limpido degli appalti: «Non c'è stata una sostanziale discontinuità nell'uso di procedure negoziate tra due le giunte», ha detto Cantone. Nel giudizio Anac, l'unico a salvarsi è l'ex assessore alla Legalità, Alfono Sabella (nominato nel 2015 da Marino), durante il cui mandato si registrò una riduzione significativa degli affidamenti poco garantiti degli appalti pubblici.