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Si è impiccato nella cella di isolamento del carcere di Montorio, nonostante gli mancassero tre mesi alla libertà. Parliamo del suicidio di Oussama Sadek avvenuto l’8 dicembre scorso, che forse poteva essere evitato e solleva interrogativi sulla responsabilità.
Tramite l’avvocato Vito Daniele Cimiotta, i familiari del ragazzo trentenne di origini marocchine hanno presentato un esposto presso la procura di Verona. Nel frattempo, se ne è aggiunto un altro, presentato da Sandra Berardi, presidente dell’associazione Yairaiha. Il quadro che emerge è disarmante.
Una tragedia evitabile che potrebbe aggiungersi ad altre vicende simili che comportarono una condanna da parte della Corte europea di Strasburgo, come il caso del suicidio di Antonio Citraro, all’epoca anche lui trentenne, detenuto presso il carcere di Messina e trovato impiccato a un lenzuolo nella sua cella nel lontano gennaio 2001.
La famiglia di Sadek ha sollevato dubbi sulla gestione del suo stato psicologico, affermando che aveva segnalato disturbi mentali al personale penitenziario, il quale a sua volta lo aveva prontamente segnalato ai sanitari. Tuttavia, secondo la famiglia, non sarebbe stato fornito l'intervento necessario in tempo utile. Inoltre, c’è da sottolineare che il detenuto aveva già tentato di suicidarsi più volte nel passato e, nonostante ciò, tre giorni prima del tragico evento era stato collocato in isolamento. La famiglia ritiene che siano necessarie indagini sul percorso medico-psichiatrico di Sadek e sulla compatibilità dell'isolamento con i suoi problemi psichiatrici, sospettando che la mancata vigilanza e l'isolamento possano aver contribuito alla sua morte, particolarmente drammatica dato che aveva solo tre mesi alla scarcerazione e stava progettando il futuro.
L’avvocato Vito Cimiotta fa notare che l’attenzione sarebbe dovuta essere maggiore anche per il fatto che in quel carcere, nel giro di pochi mesi, si sono verificati già cinque suicidi.
Come detto, anche l’associazione Yairaiha, grazie al contributo dell’attivista Lunina Casarotti, ha presentato un dettagliato esposto chiedendo chiarezza sulle circostanze della morte del giovane marocchino e sollevando interrogativi sulla gestione delle problematiche psichiatriche all'interno del carcere.
Il documento inizia riferendo la data e l'ora del decesso di Oussama, sottolineando che la Procura di Verona ha aperto solamente il procedimento n. 2481/23 RGNR MOD45, unicamente al fine di concedere il nulla osta per il seppellimento del cadavere. Una semplice prassi che forse meriterebbe molto di più.
Il cuore dell'esposto si basa sulle informazioni provenienti da una denuncia presentata dai detenuti della sezione 5 corpo 3 della Casa Circondariale di Verona. Da questo emerge che Oussama lamentava da tempo un grave disturbo psicologico, notizia che era stata prontamente comunicata al corpo di polizia penitenziaria e ai responsabili sanitari della struttura. Tuttavia, secondo l'Associazione Yairaiha, le autorità potrebbero non essere intervenute nei tempi e modi necessari.
Il passato di Oussama include vari tentativi di suicidio, tra cui un episodio avvenuto un anno prima in cui si lanciò dal quarto piano di un ospedale. La denuncia sottolinea che, nonostante questi precedenti, il giovane è stato collocato in isolamento solo tre giorni prima del suo suicidio, decisione attribuita al medico psichiatrico basandosi su una presunta aggressività di Oussama mai manifestata durante il suo periodo di detenzione, secondo quanto riferito dai compagni di sezione.
L'Associazione Yairaiha trova particolarmente strano il fatto che Oussama si sia suicidato a soli tre mesi dalla sua imminente scarcerazione dopo più di due anni di detenzione.
L'esposto sottolinea la necessità di indagare approfonditamente sul decorso medico-psichiatrico di Oussama e sulla compatibilità dell'isolamento con la sua condizione psichiatrica. Nell'esposto, vengono avanzate richieste specifiche di indagine su diversi punti chiave, tra cui il ruolo del medico che ha autorizzato l'isolamento di Oussama, l'efficacia dell'assistenza medica fornita durante il periodo di isolamento, le procedure di monitoraggio e l'adeguatezza del personale per la gestione delle situazioni di disagio e isolamento. La preoccupazione dell'Associazione è ulteriormente amplificata dal fatto che altri detenuti, tra cui Giovanni Polin, hanno perso la vita nello stesso periodo all'interno del Carcere Montorio. Questo suscita seri dubbi sulla gestione di individui con disturbi psichiatrici e sulla prevenzione dei suicidi nella struttura penitenziaria.
L'esposto si conclude con la presentazione formale di una querela nei confronti di coloro i cui comportamenti omissivi sono ritenuti responsabili del suicidio di Oussama Sadek. La richiesta di essere informata sullo stato delle indagini e sull'eventuale archiviazione del procedimento sottolinea la determinazione dell'associazione nel perseguire la verità. Nel frattempo, l'avvocato Vito Daniele Cimiotta, nominato dalla famiglia, esprime la speranza che il Ministero della Giustizia intervenga con verifiche approfondite presso il carcere di Montorio, dove i casi di suicidio sembrano essere diventati un fenomeno preoccupante e troppo frequente.