Non cambierà nulla nello schema implacabile del "processo mediatico"? Non è detto. Lo si coglie tra le righe di un testo che pure è impietoso nel descrivere le degenerazioni dei "rapporti tra mezzi di comunicazione e processo penale": si tratta del "libro bianco" su L'informazione giudiziaria in Italia pubblicato dall'Unione Camere penali. Un lavoro paziente e prezioso curato dall'Osservatorio sull'informazione giudiziaria dell'Ucpi e corredato da studi monografici sulle principali testate quotidiane. Vi si trovano veri e propri saggi, come quelli del presidente dei penalisti Beniamino Migliucci, del professor Glauco Giostra e del segretario delle Camere penali Francesco Petrelli. Nella parte curata da quest'ultimo, in particolare, c'è un passaggio che allude in modo efficace ai possibili sviluppi dell'incrocio tra informazione e attività giudiziaria: «Appare evidente quali siano i rischi di una simile degenerazione», scrive l'avvocato Petrelli, «da un lato, i giudici si troveranno sempre a decidere processi già oggetto di una condizionante azione propagandistica (si pensi ai giudici popolari nelle Corti di Assise i quali, sprovvisti del filtro della professionalità, finiscono per essere totalmente in balia di quegli stimoli), dall'altro, la crescita nella stessa opinione pubblica di un sentimento di istintiva "adesione" alle tesi dell'accusa, con il risultato che ogni qualvolta un processo di interesse pubblico si conclude con una assoluzione, si determina una sortadi risentimento collettivo, che attribuisce al giudice la "colpa" di aver disatteso un'opinione oramai consolidata ed incontrovertibile di reità». E qui il segretario dell'Ucpi fa emergere il vero rischio che si intravede per la stessa magistratura. «Lo strumento mediatico così improvvidamente attivato sfugge di mano, come capita all'incauto apprendista stregone, e si ritorce contro il suo stesso fautore, compromettendo in radice la credibilità dell'intero apparato giudiziario». Vi si condensa un pericolo già visibile: la magistratura fa i conti con un calo di popolarità che riflette, seppure in proporzioponi ridotte, la perdita di fiducia nei confronti della politica. Proprio la spettacolarizzazione della giustizia penale può finire per essere il terreno sul quale questo distacco genera il danno più grave, ossia la definitiva frattura tra le attese dell'opinione pubblica, alimentate dalla patologia del circo mediatico giudiziario, e l'attività dei magistrati. Un esito che le toghe sembrano già intravedere. Lo dimostra la ricerca di un nuovo equilibrio tra i soggetti della giurisdizione e la prudente precisazione di regole proposta, per esempio, dai procuratori sull'uso delle intercettazioni. Se davvero la minaccia della "rivolta" del pubblico contro lo show del diritto penale inducesse una decisa sterzata, questi anni di giustizia circense potrebbero non essere trascorsi invano.