Gentile Direttore, in occasione della ormai prossima tornata elettorale che riguarderà il Consiglio Superiore della Magistratura, per la particolare complessità della situazione della giustizia ritengo opportuno sottolineare alcuni temi con cui si dovrà confrontare il prossimo Consiglio, al fine di un recupero di efficienza della macchina-giustizia. In primo luogo ritengo che vi sia un grave problema strutturale connesso alla recente riforma della ministra Cartabia, la quale ha introdotto il principio della improcedibilità in sede di appello, nonostante i numerosi richiami di attenzione da parte dell’accademia, della più avveduta avvocatura, e della magistratura associata e non. Si è detto, infatti, da più parti, che la strozzatura del processo in appello ove non si giunga alla sentenza nei due anni dal pervenire del fascicolo in secondo grado, potrà servire ad ottenere i fondi del Pnrr, ma non servirà ad alcun miglioramento in termini di efficienza del servizio giustizia, tale non essendo una anticipata sentenza processuale di definizione basata sul decorso del tempo, in assenza di strumenti deflattivi e disincentivanti l’appello (ad esempio una revisione del divieto di reformatio in pejus, anche su istanza del Pg in udienza) e di strumenti di rafforzamento degli organici dei presidi di secondo grado.Il legislatore purtroppo ci ha abituati a riforme normative a costo zero e senza alcuna valutazione di impatto sul sistema, come accaduto ad esempio con la riforma del pubblico impiego del 1998, salvo poi rendersi conto a distanza di tempo della perniciosità delle stesse sul servizio-giustizia reso ai cittadini. Anche stavolta, la conseguenza immediata è stato un accrescimento delle già gravi carenze di organico in appello, con scoperture che toccano oltre il 20% in alcuni uffici già difficili come Napoli, e Bari non è lontana da scoperture analoghe se non si invertirà la tendenza. Pertanto un primo macro-problema sono riforme che non aiutano, anzi danneggiano l’efficienza del servizio, dando una parvenza di funzionalità ma in realtà provocando l’esatto contrario, come una macroscopica eterogenesi dei fini, ma tutt’altro che inconsapevole. Un secondo macro-problema, strettamente connesso al primo sono gli organici, da sempre in sofferenza per inadeguatezza e scoperture di organico connesse ai pensionamenti o alle mancate coperture all’esito dei concorsi. Recenti indagini hanno ad esempio evidenziato che in Italia vi sono 11,4 giudici per 100.000 abitanti, a fronte di una media europea di 21. Per i pubblici ministeri la forbice è analoga, o di poco inferiore. Infatti a fronte dei 3.4 Pm ogni 100.000 abitanti, la media europea è 11 (dati rapporto Cepej 2016). Negli ultimi anni i numeri sono addirittura peggiorati, perché nel frattempo in Germania il numero di giudici per 100.000 abitanti è cresciuto sino a 24, in Austria sino a 27, mentre in Italia è rimasto ai 12 del periodo precedente (fonti citate nell’articolo di Europa Today del 9 luglio 2021). Significative, sul punto, appaiono le dichiarazioni del commissario europeo alla Giustizia Didier Reynders circa il problema delle risorse umane. “Devono aumentare i numeri del personale, a prescindere dalle proposte di separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti” (Europa Today, cit.), che invece resta lo slogan preferito da alcune forze politiche poco interessate alla reale soluzione dei problemi del servizio-giustizia. In questo quadro, come si possa pensare di ridare efficienza al sistema giustizia con dati così sconfortanti è domanda alla quale qualche leader politico, nella attuale campagna elettorale, dovrebbe rispondere con soluzioni reali invece di vuoti e consunti slogan di sapore punitivo. Analoghi problemi sussistono per il personale amministrativo di supporto, spesso sottodimensionato proprio negli uffici più delicati, come gli uffici Gip-Gup e le Corti d’Appello. La costituzione dell’Ufficio per il processo ha apportato qualche beneficio di superfice, ma si tratta di rimedi a tempo determinato insuscettibili distrutturarsi e sedimentarsi nel tempo, con la conseguenza che giovani risorse andranno perse dopo essere state addestrate a delicati compiti di supporto a giudici e cancellerie. Un altro retaggio della logica delle riforme occasionali e non destinate a restare in permanenza, sempre nell’ottica della percezione dei contributi Ue. Da questo punto di vista occorrerebbe tra l’altro una vera riforma della magistratura onoraria in grado di rendere stabili e garantiti professionisti che da circa vent’anni sono di quotidiano supporto alla magistratura togata, e senza la quale oggi saremmo alla paralisi, senza consentire a qualche forza politica di farne vessillo di lotta elettorale, poiché la giustizia, sia gestita da magistrati togati o onorari, appartiene a tutti e non può essere strumentalizzata da una parte politica. Una migliore e generalizzata presenza dei magistrati onorari (ad esempio non si comprende perché impedire agli stessi di partecipare a comporre gli uffici Gip-Gup e i collegi di Corte d’Appello) sarebbe un altro tassello importante nell’ottica di una maggiore efficienza della risposta alla domanda di giustizia. Un terzo macro-problema che affligge gli uffici giudiziari, e qui entrano direttamente in gioco le competenze del Consiglio Superiore, sono le nomine dei dirigenti. I dirigenti sono il cuore pulsante di un ufficio giudiziario, e da loro dipendono organizzazione, efficienza, legittimità dell’azione e del servizio reso. Un buon dirigente può dare un’impronta molto importante al suo ufficio, e viceversa un pessimo dirigente può affossarlo. Nella consiliatura 2015-2018 si sono registrati i peggiori fenomeni clientelari e di malaffare proprio con riferimento a nomine di direttivi di procure della repubblica e (molto meno) di tribunali, con nomine di soggetti poi finiti al centro di indagini per gravi reati, e con le tristi vicende dell’Hotel Champagne, di cui da alcuni anni vi è cenno nelle cronache giudiziarie di questo Paese. Chi si è macchiato di quelle vicende, con conclamati rapporti con soggetti politici estranei al Consiglio Superiore, dovrebbe almeno avere il buon gusto di tacere, invece di ergersi a paladino di una ben strana (e tardiva) lotta contro un “sistema” del quale era parte apicale, autorevole e integrante. Il Consiglio in tutte le sue parti, togate e non, è chiamato pertanto ad una opera di ristrutturazione della credibilità dell’intera magistratura attraverso l’attenzione necessaria a nomine di direttivi che avvengano effettivamente per merito e non per rapporti clientelari e di potere. Chi ha indegnamente rivestito il ruolo di consigliere ha lasciato una eredità pesante ai colleghi del prossimo Consiglio, il quale dovrà recuperare senso e prestigio della funzione costituzionale di governo autonomo, rimettendo in carreggiata un organo senza il quale la democrazia di questo Paese è in serio pericolo. Sono convinto che la magistratura saprà trovare al suo interno le energie migliori, senza distinzioni di componenti culturali, per ridare prestigio e dignità al Consiglio Superiore, a condizione che si smetta di votare per l’amico che promette favori e “coperture”, e si dia preferenza a chi invece promette solo di fare il proprio dovere secondo legge e coscienza, esattamente come ci prescrive la Costituzione e la legge quando sediamo nelle aule di giustizia con indosso la toga. Quando smetteremo di pensare al voto come favore da ricambiare e lo praticheremo come servizio nell’interesse della magistratura, scartando quelli che si propongono di essere presenti al momento del bisogno del singolo, avremo fatto un passo avanti. *Consigliere della Corte d’Appello di Bari, candidato alle elezioni per la componente togata del Csm