La vicenda giudiziaria che ha riguardato Vincenzo Luberto, magistrato ora in servizio al Tribunale di Potenza ed ex procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, è iniziata qualche anno fa e si è intrecciata con quella di Ferdinando Aiello, deputato Pd dal 2013 al 2018. Lo scorso anno i pm di Salerno hanno chiesto il rinvio a giudizio di Luberto e Aiello (si veda anche Il Dubbio dell’ 8 marzo). Gravi i reati contestati: corruzione in atti giudiziari, favoreggiamento, omissione di atti e rivelazione di segreto d’ufficio. Tre giorni fa la svolta: all’esito del giudizio abbreviato davanti al gup di Salerno Carla Di Filippo, l’assoluzione per entrambi «perché il fatto non sussiste».

Un epilogo tutt’altro che scontato, che premia le scelte difensive, come evidenzia l’avvocato Mario Papa, legale di Luberto. L’accusa di corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreto ha rappresentato uno smacco grave per un magistrato da sempre impegnato nella lotta alla ’ndrangheta. Per non parlare delle ripercussioni che l’indagine ha avuto da un punto di vista professionale. «Due anni fa - dice l’avvocato Papa - gli ’ndranghetisti avranno avuto certamente motivo di gioire per l’allontanamento di Luberto dalla Dda di Catanzaro, che ha perso un cavallo di razza nella lotta al crimine organizzato. Oggi, mi auguro che la sentenza con cui è stata accertata l’insussistenza del fatto possa restituire a Luberto ciò che gli è stato ingiustamente tolto, e anche rinfrancare quelli che con lui hanno lavorato contro la criminalità, condividendo la fatica, le ansie e la indispensabile fiducia reciproca».

Papa si sofferma su una circostanza importante, vale a dire il trasferimento a Salerno dalla Procura di Catanzaro degli atti che hanno originato il procedimento. «Si trattava - evidenzia - di un atto dovuto. Spettava ai pubblici ministeri di Salerno saper separare il grano dal loglio». Di qui il dubbio del difensore, «benché io ed il mio assistito avessimo tenuto un comportamento processuale attivo». «Luberto - prosegue l’avvocato Papa - si è sottoposto al primo interrogatorio nel gennaio 2020, quando le indagini non erano ancora concluse e gli atti erano ancora secretati. Non ha avuto alcun timore di rispondere al buio a tutte le domande, e le risposte date sono state tenute ferme per l’intero processo con linearità e coerenza. Il problema è che gli elementi che egli ha fornito a sua discolpa sono stati ignorati e trascurati».

Nonostante questa piega presa nel procedimento a carico del magistrato calabrese, è stata dimostrata ugualmente l’innocenza. «Il fascicolo digitale delle indagini - aggiunge Papa -, a carico di Aiello e Luberto, è formato da oltre 191mila pagine, mentre la versione cartacea annovera trenta faldoni di atti messi insieme dai pm. Eppure, l’indagine sembrava non centrare il tema oggetto del processo, tant’è che abbiamo noi sollecitato l’acquisizione di molti atti presso la Procura di Catanzaro e abbiamo effettuato indagini difensive sia testimoniali che documentali. Nell’attività di indagine dei pm di Salerno è stata impressa indubbiamente una grande foga investigativa con indagini patrimoniali, intercettazioni, pedinamenti e perquisizioni perfino nell’ufficio di Luberto. Il punto è che, poi, questa mole di atti non è stata esaminata e valutata senza pregiudizio».

Sulla scelta del giudizio abbreviato, il difensore di Luberto non ha mai pensato a un esito negativo, a una condanna per il suo assistito. «La scelta del rito - conclude - è il peggiore tormento di un difensore, ma Luberto era stato già eccessivamente e ingiustificatamente maltrattato, perché lo si potesse sottoporre ad un dibattimento infinito. Ci siamo detti che un giudice terzo ed equilibrato non avrebbe potuto nutrire dubbi sulla insussistenza del fatto e così è stato. Ora mi auguro solo che anche il Csm si renda conto che Luberto ha subito un’ingiustizia e che gli consenta di tornare alle proprie funzioni». La vicenda è tutt’altro che chiusa.