Due anni e tre mesi di inferno per un reato che non aveva commesso. È quanto stabilito dal gup del tribunale di Salerno, Carla Di Filippo, nei confronti dell’ex procuratore aggiunto di Catanzaro, Vincenzo Luberto, oggi giudice civile a Potenza. Il magistrato calabrese era stato indagato, e poi processato, nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla procura di Salerno, su presunti favori che l’allora “braccio destro” di Nicola Gratteri avrebbe fatto all’ex deputato del Partito democratico, Ferdinando Aiello, politico cosentino originario della Valle del Savuto. Le accuse, a vario titolo, erano quelle di corruzione, inizialmente con l’aggravante mafiosa - poi esclusa all’atto dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari - falso, omissioni d’atti d’ufficio, favoreggiamento e rivelazione del segreto istruttorio. Nello specifico, Luberto, dopo aver acceso i riflettori contro una presunta associazione mafiosa operante nella zona jonica della provincia di Cosenza - inchiesta successivamente archiviata a Catanzaro - non iscrivendo Aiello, amico di vecchia data, nel registro degli indagati, avrebbe evitato di disporre ulteriori accertamenti a suo carico, determinando in favore dell’ex deputato del Pd, «indebiti vantaggi di non assumere il ruolo di indagato e di non essere destinatario di indagini». Secondo la procura di Salerno, che aveva chiesto la condanna a tre anni di carcere sia per il magistrato di Cosenza che per l’esponente politico di Rogliano, Vincenzo Luberto avrebbe anche ordinato «ai carabinieri del Nucleo investigativo di Cosenza» che gli atti contro Aiello, con il quale aveva passato diversi momenti vacanzieri, «non venissero riportati» quali «elementi indiziari». Su questo punto, e sulla mancata iscrizione nel registro degli indagati di Enza Bruno Bossio, deputata del Pd, e di Nicola Adamo, ex vicepresidente della Giunta regionale della Calabria (quest’ultimi mai indagati nel procedimento penale in questione), la decisione del gup di Salerno chiarisce in modo inequivocabile che Luberto non ha favorito Aiello. Anzi. Il fatto di aver indagato sul presunto “comitato d’affari”, senza procedere con l’iscrizione del politico, avrebbe permesso agli inquirenti di mantenere “coperta” l’inchiesta che, se fosse arrivata in Parlamento, tramite la richiesta di intercettazione, in quanto Aiello godeva all’epoca dell’immunità, sarebbe venuta alla luce, mandando in frantumi il lavoro investigativo. Che, come detto, non ha portato comunque a nessun sviluppo, visto che gli stessi magistrati di Catanzaro hanno ritenuto infondata l’ipotesi accusatoria da sostenere in fase cautelare. In ultimo, la procura di Salerno contestava a Luberto di aver spifferato a Ferdinando Aiello che c’erano intercettazioni telefoniche contro Vito Tignanelli, poliziotto di Cosenza, indagato insieme all’ex procuratore capo di Castrovillari, Eugenio Facciolla, dalla procura di Salerno, per il reato di corruzione. In questo caso, Luberto «informava Aiello che in un procedimento della Procura di Catanzaro era stato destinatario di intercettazioni Vito Tignanelli e che il fascicolo era stato trasmesso alla Procura di Salerno per competenza in quanto da tali intercettazioni emergevano elementi di reato a carico del procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla». La vicenda giudiziaria ha causato un grave danno alla carriera e all’immagine di Luberto, il quale è passato dall’essere uno dei magistrati più impegnati nella lotta alla 'ndrangheta - che ha combattuto negli ultimi 20 anni - a giudice terzo su questioni di natura civilistica, lontane dalla sua “forma mentis”. Luberto è un tipo spigoloso e scorbutico, che ha falcidiato con arresti e condanne i clan Forastefano e Abbruzzese di Cassano all’Jonio e le cosche di Corigliano e Rossano, al punto che qualcuno voleva farlo saltare in aria. Il commento dell’avvocato Enzo Belvedere, che ha difeso Ferdinando Aiello, racchiude tutta la storia processuale. «Dagli atti si è, sin dalle prime battute, evinto che i normali rapporti di conoscenza non potessero esser giammai equivocati per ipotesi penali».