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Quella di Rocco Loreto, tre volte senatore con Pci-Pds-Ds, tre volte sindaco del suo paese, Castellaneta, in provincia di Taranto, fu un’ingiusta detenzione. A stabilirlo è la Corte d’Appello di Potenza, che lo scorso 20 maggio ha condannato lo Stato a versare a titolo di equa riparazione per la custodia cautelare subita la somma di 17.250 euro. Loreto il 4 giugno del 2001 venne arrestato con l’accusa di calunnia e di violenza privata, passando quattro giorni in carcere e 11 ai domiciliari, nonché 16 anni tra le maglie della giustizia, fino al 26 maggio 2017, quando è stato assolto con formula piena. A denunciarlo un magistrato, Matteo Di Giorgio, espulso dalla magistratura nel 2018 dopo la condanna a 8 anni per corruzione, con l’accusa di aver abusato della toga per interferire nella vita politica di Castellaneta, proprio per i fatti relativi alla caduta della giunta Loreto. Nella sentenza, i giudici valorizzano non solo l’ingiusta custodia cautelare subita dall’ex politico, ma anche il clamore mediatico da essa suscitata, riferendo l’indennizzo «globalmente alle pregiudizievoli conseguenze personali e familiari e, in particolare, al pregiudizio psicologico e relazionale derivante dallo stato di detenzione». «Durante la campagna elettorale del 2000 fui sottoposto ad un assalto da parte degli uffici della Procura di Taranto - racconta al Dubbio subito dopo l’assoluzione -. Di Giorgio spediva la macchina della Digos a sequestrare tonnellate di documenti comunali, in una sorta di pesca a strascico, fino a tre volte al giorno. Nonostante queste condizioni presi una valanga di voti», spiega. Loreto non si limita a vincere: da senatore, responsabile delle politiche di sicurezza e difesa del Paese in seno alla Commissione difesa, avvia un’azione di sindacato ispettivo parlamentare, per comprendere l’operato del magistrato, «che continuava a bersagliare l’amministrazione in modo assurdo». Le indagini di Di Giorgio sulla sua amministrazione portano infatti ad una valanga di contestazioni: 84 capi d’accusa in un solo procedimento, «quasi tutti sciolti come neve al sole in udienza preliminare», spiega l’ex senatore. «Nel 2001 fui candidato in deroga per la quarta volta. Una campagna elettorale in salita, che portavo avanti preceduto dalla triste fama che sarei stato presto arrestato, da chi e quando». E il 4 giugno 2001, poco dopo aver perso il diritto all’immunità, viene svegliato all’alba dai carabinieri di Potenza, che lo arrestano su richiesta del pm Henry John Woodcock, mentre i fotografi sono appostati sul palazzo di fronte. Loreto passa quattro giorni in carcere a Potenza, giorni di sciopero della fame e della sete. Poi, dopo, l’interrogatorio di garanzia, finisce ai domiciliari. Undici giorni dopo il Riesame riconosce l’assoluta carenza di indizi di colpevolezza. Il processo inizia nel 2008 e registra il cambio di diversi giudici, ma Loreto rinuncia alla rinnovazione del processo e ai suoi testi pur di far presto. Nel frattempo, Di Giorgio viene arrestato: è l’11 novembre 2010, il pm viene accusato di concussione nei confronti di un consigliere comunale di maggioranza eletto a sostegno di Loreto nel 2000, costretto a dimettersi portando così il sindaco alla caduta definitiva. Perché? «Aveva aspirazioni politiche - spiega l’ex senatore - Nel 2008 si mise in aspettativa per candidarsi al Parlamento e nel 2009 per candidarsi alla provincia di Taranto. Io, con quei numeri, ero l’ostacolo sul suo cammino». Di Giorgio viene condannato prima a 15 anni, poi a 12 e mezzo in appello. L’8 agosto del 2017 la Cassazione lo ha condannato a 8 anni. Loreto, invece, viene assolto 16 anni dopo. Anni che, forse, si potevano evitare.